Dallas Buyers Club
di Jean-Marc Vallée
con Matthew McConaughey,
Jared Leto, Jennifer Garner, Steve Zahn
Drammatico, 117 min., USA, 2013
Texas,
seconda metà degli anni Ottanta. Ron Woodroof (McConaughey), che lavora come
elettricista nei pozzi petroliferi, conduce una vita sregolata. Ama l’alcol, la
droga, il gioco d’azzardo e le donne. Proprio da una prostituta contrae l’HIV
ed i dottori, dopo avergli diagnosticato l’AIDS in fase avanzata, gli danno
trenta giorni di vita. In un primo momento la sua reazione è incontrollata. Per
non sentire il peso degli effetti della malattia, Ron aumenta le dosi di alcol
e droga ma così facendo finisce con il peggiorare il suo quadro clinico.
Comincia allora a procurarsi sottobanco l’AZT, un potente antivirale in fase di
sperimentazione. Quando il farmaco viene però messo sotto controllo dai medici
dell’ospedale, Ron decide di recarsi in Messico per procurarsi altro AZT,
finendo invece per conoscere un medico radiato che gli prescrive del Peptide T,
proteina non approvata dal sistema sanitario americano che però lo aiuta a migliorare
la sua situazione. Ron decide così di portare questa sostanza in Texas al fine
di venderla agli altri malati e combattere lo strapotere delle case
farmaceutiche che, a suo parere, stavano lucrando sulle disgrazie di centinaia
di migliaia di persone colpite dalla piaga dell’HIV.
Ciò che colpisce di più di quest’opera è sicuramente la prova immensa di un McConaughey in stato di grazia (già William Friedkin lo
aveva valorizzato in Killer Joe, 2011).
Non c’è un’inquadratura in tutto il film in cui il suo corpo e la sua voce non
rendano perfettamente l’idea di una persona che porta il fardello di un destino ormai irrimediabilmente segnato. Le guance scavate, la voce
flebile e incerta (da ascoltare solo nella versione in lingua originale), le
vene prominenti sulla fronte e i muscoli di gambe deboli che non riescono a
regge il peso di un corpo svuotato, sono solo le evidenze di un’anima persa che
cerca di ritrovarsi in una battaglia contro i pregiudizi della società (era
opinione comune che l’HIV fosse un problema solo degli omosessuali) e le
dinamiche legate al profitto delle case farmaceutiche. Ma oltre a ciò che
rimane strettamente legato alla performance di chi interpreta il personaggio
principale, che trova in Leto un’ottima spalla grazie alla quale far emergere
il suo lato più umano, rimane poco di una storia che soffre il continuo
tira e molla temporale (si saltano mesi o anni con una semplice schermata nera)
e l’approssimazione con cui si indagano a livello macrotematico le ragioni di
una vera e propria piaga sociale. Condivisibile dunque la scelta dell’Academy
di premiare con l’Oscar le prove di McConaughey, Leto e dei truccatori Adruitha
Lee e Robin Mathews, che in fin dei conti si dimostrano di tutt’altra categoria
rispetto ad una sceneggiatura e una regia tutto sommato didascaliche.
Voto: 3
su 5
(Film visionato il 25 marzo 2014)
2 commenti:
Io ho guardato questo film dopo la vittoria dei protagonisti agli Oscar: devo ammettere che, nonostante tifassi in modo sfegatato Michael Fassbender per "12 anni schiavo", entrambi si sono meritati il premio.
Non amo il fatto che, in un modo o nell'altro, agli Oscar spicchino sempre film con la morale alla fine (gli americani non ce la possono fare sotto questo punto di vista, a mio parere), però il film mi è piaciuto.
I protagonisti sono stati eccelsi, non posso aggiungere altro.
Credo, come hai detto tu, che il premio per il miglior makeup fosse inevitabile: con un budget limitatissimo i truccatori hanno fatto miracoli!
Boo di insanebazar.com
Ciao Boo, grazie per il tuo commento!
Sono d'accordo con te, Fassbender in 12 anni schiavo è stato eccezionale e avrei dato a lui l'Oscar come attore non protagonista prima di vedere Dallas Buyers Club...poi però mi sono ricreduta.
McConaughey e Jared Leto a mio parere sono a dir poco inarrivabili e il film risulta incalzante e convincente sin quasi alla fine... per me uno dei migliori della stagione.
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