Registi di Parma – Intervista a Luca Gorreri
Gorreri,
che ha lunga esperienza come operatore di ripresa, esordisce alla regia nel
2016 con “Sassi nello stagno”, documentario sul Festival del Cinema di
Salsomaggiore Terme che ha ricevuto ottime recensioni ed è stato selezionato in
festival nazionali e internazionali. La sua attenzione è rivolta al
documentario sperimentale.
Riferimenti
culturali
1. Da dove nasce il
tuo amore per il cinema?
Da lontano, molto lontano sia come tempo, sia come
genere. Il primo film che ricordo con gusto è Godzilla Vs. Megalon. Poi
i grandi classici della fantascienza, da Ultimatum alla terra a L'invasione
degli ultracorpi, poi Solaris e tanti, tanti altri, tutti visti il
sabato sera trasmessi dalla TV Svizzera Italiana. Dopo anni sono riuscito ad
averli quasi tutti in DVD.
2. Quali sono i tuoi
registi e documentaristi di riferimento?
Ora guardo a Godard, Júlio
Bressane e Alain Robbe-Grillet per quanto riguarda il cinema. Per il
documentario Vittorio De Seta, Elio Piccon, Ermanno Olmi, Folco Quilici, Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian e tanti altri che
hanno creato documentari che si posso definire sperimentali o rivoluzionari.
3. Quali opere
annoveri tra i capolavori?
Anche se la parola capolavoro è un po' eccessiva
posso citare,
ora come ora, L'immortale di
Alain Robbe-Grillet e Quarto potere di Orson Welles, ma potrei definire
capolavori tutti i film che mi sono piaciuti.
4. Quali sono quelle
che riguarderesti più e più volte?
Nessuna in particolare. Anche se mi piacciono è
difficile che le riguardi. Mi piacciono un po' i ricordi offuscati e talvolta
mescolarli.
5. Quali sono i
gruppi e cantanti che ascolti abitualmente?
Ultimamente non ascolto molto la musica, ma mi
piacciono i Queen, I Run DMC, I Motorhead, Judas Priest.
6. Quali sono i libri
e gli autori letterari che ami?
Fantascienza, fantastico e fantasy. Edgar Rice
Burroughs per la saga di John Carter di Marte (da cui hanno tratto un film
orribile), Philip K. Dick, JRR Tolkien, H.G. Wells, Edgar Allan Poe, H.P Lovecraft.
Tutta roba datata. Mi piaceva anche il cyberpunk degli inizi: Gibson, Sterling.
La letteratura moderna, di qualsiasi genere sia, non mi attrae.
Processo
creativo
7. Perché hai scelto
come forma espressiva proprio il documentario?
Penso che il documentario abbia più libertà
d'espressione rispetto al cinema di finzione. In quest’ultimo bisogna essere
legati a gabbie e moduli precostituiti (come la sceneggiatura) che possono
limitare. Io guardo al documentario sperimentale, non classico o ancor peggio
televisivo dove vi sono obblighi formali da rispettare.
8. Da quali spunti,
idee e influenze nascono i tuoi lavori?
Per la mia opera prima dal luogo dove abito ora e
dalla sua storia. Per i progetti futuri, se ci saranno, da fatti o persone
viste e incontrate.
9. Quando trovi il
tempo per delineare e definire la struttura delle tue opere?
Quando ho realizzato Sassi nello stagno
appena avevo un momento libero, sia mentalmente ché fisicamente, lo dedicavo al
film. Per i prossimi non so. Forse farò la stessa cosa, credo. Non ho molte
certezze.
10. Quanto è
importante documentarsi sulla tematica da trattare e sui soggetti da
intervistare?
Molto ma non troppo. Bisogna documentarsi quel
tanto che ti permette di partire, trovare le persone giuste da contattare,
delineare le basi. Documentarsi tanto potrebbe dare uno sguardo distorto e farti
trovare in difficoltà. Rimarrei deluso se scoprissi di saperne, o presumere di
saperne, di più dei protagonisti.
11. Organizzi il
lavoro per tenere il focus su un singolo tema o è importante prevedere anche eventuali divagazioni?
Per Sassi nello stagno sono partito con un’idea
più o meno centrale a cui ho fatto seguire ispirazioni dovute agli incontri che
ho fatto e alle cose che ho scoperto durante la lavorazione. Poi dipende come
un vuole realizzare il documentario. Se si vuole fare un docu-fiction, un
documentario d'osservazione (Frederick Wiseman, Sergey Loznitsa), di
denuncia o sperimentale bisogna partire da basi differenti.
12. Meglio riportare
la realtà senza filtri e senza retorica o bisogna trovare il modo di far emergere da essa la parte poetica?
Una cosa non esclude l'altra e la realtà senza
filtri è pura utopia. Anche se mettiamo la camera fissa davanti a un evento
[cito Austerlitz di Loznitsa] è sempre e comunque il punto di vista del
regista che si esprime nella composizione dell'immagine, nella fotografia ma
soprattutto nel montaggio in cui riversa tutto il proprio vissuto, sia
consciamente che inconsciamente. Lo sguardo del regista è la sua poetica e
quindi qualsiasi sguardo è poetico.
13. Cosa cerchi di
comunicare? A chi?
Domanda da far tremare i pilastri del cielo...
[semicit. Grosso guaio a Chinatown]. Emozioni? Sensazioni? Riflessioni?
Disagio? Tutto questo a chi vuole vederlo o vuole sentirlo.
Processo
realizzativo
14. Com’è organizzata
una tua giornata di riprese?
Posso, per ora, parlare solo al passato. Comunque,
dopo essermi accertato della disponibilità delle varie parti, allestivo il set
prima che arrivassero gli “attori”. Mi piace aver già tutto pronto, per quanto
possibile ovviamente, anche perché le sorprese non mi piacciono un granché.
15. Quanto ritieni
siano importanti le interviste? Come le prepari?
Dipende dal tipo di documentario, non ho una regola
fissa. Per il mio ho scritto quattro o cinque domande e le ho poste agli
intervistati. Le domande erano le stesse per tutti in modo da facilitarmi il
montaggio, che è stato comunque molto faticoso. E sarebbe stato molto peggio se
non avessi avuto al mio fianco Stefania (montatrice del film, fonico di presa
diretta, luci, sostegno morale).
16. Lasci le persone
libere di divagare o cerchi, direttamente e/o indirettamente, di indirizzarle?
Le lascio libere nell'ambito delle domande ma se
divagano non le interrompo, taglio poi in montaggio. La divagazione come flusso
di pensieri può essere utile a chi parla per raccogliere i ricordi. In una
serie di interviste minori ho fatto l'errore di ricordare cosa avevano detto
gli intervistati nel nostro precedente incontro e in ripresa, hanno ripetuto le
mie stesse parole. Anche per questo, e per una maggior naturalezza, ho deciso
che se includerò ancora interviste incontrerò i protagonisti qualche momento
prima di registrare in modo da non influenzarli.
17. In base a cosa
scegli le location? Quanto sono importanti?
Il luogo è importante in quanto palcoscenico e
protagonista della realtà. Per Sassi nello stagno i luoghi di Salso che
ho ripreso erano importanti perché già vissuti ai tempi del Festival ed ho
voluto a modo mio far vedere un prima e un dopo. Poi, ovviamente, se si vuole
comunicare un certo tipo di emozione o riflessione si sceglie un luogo
“ancestrale”. All'inizio del mio documentario si vede ad esempio un rivolo
tranquillo, autunnale, nebbioso perché l’intenzione è quella di trasmettere
(spero di esserci riuscito) immobilità, stagnazione, freddo, disagio.
18. Interni o
esterni?
Dipende, non ho preferenze. Purché possa giocare
con la luce.
19. Durante le
riprese rispetti la scaletta che ti sei dato o cerchi di cogliere al volo anche
le situazioni inaspettate?
Di solito cerco di essere fedele il più possibile
anche per rispettare certi miei schemi mentali. L'improvvisazione, gli
imprevisti o le probabilità li accetto a seconda del mio umore.
20. Che macchina da
presa utilizzi? Qual è il suo maggior pregio?
Uso una Canon 60D con una serie di obiettivi: un
20mm, un 50mm, un 100mm macro e il mio preferito in assoluto, un 200mm. E'
leggera, facile da usare su treppiede, slider o stabilizzatore e ha una buona
resa. Secondo me è un po' la 16mm del digitale e per questo mi piace. Non sono
sicuro di voler o poter usare macchine a 4K o superiori. Per me sono troppo
dettagliate, non credo che l'occhio umano arrivi a certi livelli di dettaglio. Alle
volte le immagini così precise, pulite, dettagliate mi risultano un po'
fastidiose. Per me l'immagine deve essere un po' pastosa, della stessa sostanza
dei sogni.
21. Hai dei
collaboratori?
Stefania, che mi ha aiutato in tutto, sia dentro
che fuori dal set. E poi persone di riferimento come Fausto Tinello per la
post-produzione audio e Simone Manuli per la musica originale.
22. È presente la
musica nelle tue opere? Dove preferisci utilizzarla?
Ho usato musica originale (di
Simone Manuli) e l’ho utilizzata principalmente dove non vi era la voce.
Preferisco che musica e voce restino separate.
23. Utilizzi la voce
fuori campo? E la parola scritta?
La voce fuori campo non mi dispiace se non è
ridondante e descrittiva rispetto alle immagini. Come per la musica, deve
essere indipendente ma compenetrata nell'immagine. La parola scritta mi piace
molto: è di grande impatto e un maestro come Jean-Luc Godard ha tracciato la
via che cerco di seguire.
24. Quanto ritieni
sia importante il montaggio?
Tantissimo. È fondamentale. Per me il cinema non
esisterebbe senza montaggio. Qualcuno potrebbe obiettare che si può fare cinema
anche con il piano sequenza (forma espressiva che io adoro e che il cinema
dell'Europa dell'Est ha portato a livelli sublimi) ma il montaggio esiste: è
all'interno del piano sequenza. C'è ma non si vede.
25. Qual è la tua
cifra stilistica?
Con una sola opera all'attivo è difficile per me
descrivere il mio stile. Essendo un negativo e un nichilista, posso dire cosa
non sono: non sono descrittivo, consequenziale, classico, televisivo.
Il
prodotto finito
26. Quali canali
sfrutti per diffondere le tue opere?
Purtroppo penso che ad oggi solo internet può far
sapere che esisti. Ma devi sapere come utilizzarlo. Teoricamente il mio film avrebbe
bisogno di essere proiettato nei cinema, ma è praticamente impossibile
distribuire il film nelle sale. Nella mia piccola esperienza posso dire che ho
scritto più di un centinaio di mail ed ho avuto solo due risposte. I cinema non
rispondono se non ad uffici stampa rinomati o se non vi sono nomi di richiamo.
Inoltre mi è stato chiesto di fare di tutto tranne che l'autore: ufficio
stampa, public relations, trovare ospiti e pubblico, promoter. Tutte cose che
mi hanno esaurito nel corso degli ultimi due anni.
Poi c'è il DVD (altro supporto destinato a sparire)
e insieme al mio distributore stiamo pensando al VOD (Video on demand).
27. Pensi subito di
partecipare a qualche concorso o la decisione dipende soprattutto dal risultato finale?
Siccome ero soddisfatto del film ed
avevo avuto già buone recensioni, l'ho iscritto a molti festival nazionali e
internazionali ed è stato selezionato in tre. Diciamo due, perché un festival è
stato cancellato (capita anche questo). I festival aiutano se ti premiano e
metti i tuoi bei allori sulla locandina del film, e magari questo ti aiuta ad
essere distribuito. Ma per farti vedere devi andare ai Festival grandi, con il
marché, e soprattutto tramite un agente o un ufficio stampa a livelli
internazionali.
28. Hai vinto qualche
premio/riconoscimento? Con quali opere?
Nessun premio ufficiale. Ma il premio me lo
riconosco da solo, dato che la mia opera è stata selezionata in due festival ed
ha ottenuto molte recensioni positive. Per un'opera prima autoprodotta,
indipendente e autarchica direi che non c'è male. Inoltre faccio parte di un
movimento cinematografico: Fuorinorma, la via neo-sperimentale del cinema
italiano. Il mio film compare in una rosa di 70 titoli e di questo ne sono
orgogliosissimo.
29. Sei soddisfatto
dei tuoi lavori? Quale ti rappresenta maggiormente?
Per ora ne ho fatto solo uno importante e sono
molto soddisfatto del risultato artistico e del risultato della critica. Sono
soddisfatto anche dei miei lavori minori.
Diciamo che questa mia opera prima è un bel emblema
del mio modo di pensare.
30. Progetti futuri?
Uno, nessuno e centomila. Qualcuno che posso fare
senza impegno, qualcuno un po' più impegnativo. Ma i prossimi, se ne avrò la
possibilità, dovranno essere prodotti da qualcuno, perché questa mia avventura
è stata molto dispendiosa. La rifarei ancora, con l'unica variante di investire
la maggior parte del denaro in persone che sanno vendere l'acqua ai pesci per
affidargli la vita del mio film dopo la creazione.
Filmografia
-
“Sassi nello stagno” (2016): www.sassinellostagnodoc.com
- Operatore di ripresa per il documentario Una
civile Resistenza di Stefania Pioli
- Lavori e collaborazioni come operatore di
ripresa: www.lucagorreri.com
Luca Gorreri nasce a Parma 48 anni fa “in una sera
di nebbia” e poi ha vissuto a Fidenza, “in un quartiere tranquillo, in una casa
dai ricordi fatati, infanzia e adolescenza”. Dice di essere “diventato grande
(e grosso) e le cose sono diventate un po' più spigolose e meno facili ed io di
conseguenza sono diventato meno facile e più spigoloso (solo di carattere, il
fisico è rimasto tondo).”
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