In questi giorni d'estate divisi tra caldo torrido e inaspettati scrosci temporaleschi è il caso, per chi non lo avesse ancora fatto, di rispolverare uno dei libri più validi degli ultimi anni, celebrato da più parti come Il Grande Romanzo Americano e che ha valso al suo autore vari premi e riconoscimenti.
Dopo
il sublime Le Correzioni,
in Libertà (Freedom) Franzen riesce ancora una volta nell’impresa di rappresentare la complessa società americana,
con i suoi paradossi e le sue contraddizioni, attraverso le vicende di una
tranquilla famiglia della media borghesia urbana, seguendone i passi
dall’ascesa sino all’inarrestabile declino: Walter, Patty, i figli adolescenti
Joey e Jessica.
Come nel già acclamato predecessore, anche qui lo sguardo del
narratore si sposta di volta in volta sui singoli personaggi, esprimendone
emozioni e pensieri mediante una tecnica narrativa che favorisce
l’immedesimazione e si avvale di continui flashback e scarti cronologici.
Privilegiando il tempo interiore rispetto a quello reale, molti eventi,
anche importanti, trovano posto in un passato anteriore a quello del racconto,
come fossero rievocati dai ricordi dei protagonisti, e non di rado vengono
narrati in modo del tutto incidentale, come fossero fatti assolutamente
marginali.
Questo
contribuisce all’impressione che siano in realtà i personaggi stessi a muovere
i fili della trama: la voce dell’autore si fonde con quella delle sue creature,
che diventano esseri viventi a tutti gli effetti, capaci di soffrire,
emozionarsi, prendere decisioni, pentirsi delle proprie azioni.
Ad ogni pagina
la loro esistenza acquisisce sempre maggiore concretezza, il loro respiro, il
loro calore umano sembrano quasi fisicamente percepibili. Uno dei maggiori meriti
di Franzen è infatti sicuramente la sua capacità di creare personaggi
fortissimi, credibili e convincenti, mossi da pulsioni e motivazioni del tutto
reali con le quali, tutti i giorni oppure in qualche momento determinato della
nostra vita, ci troviamo inevitabilmente a dover fare i conti.
E Franzen descrive
queste emozioni con abilità ineguagliabile, tanto che ben presto non solo ci
accorgiamo che ogni singolo personaggio racchiude anche un po’ di noi stessi,
ma ci rendiamo anche conto dei meccanismi psicologici inconsci che stanno alla
base delle nostre azioni e che sino a quel momento avevamo ignorato. Pagina
dopo pagina, leggendo le peripezie dei protagonisti, non si può fare a meno di
esclamare, con una punta di sconcerto e di entusiasmo insieme: “Ma è proprio
così! E’ proprio quello che si prova!”
E
questa autorivelazione coinvolge anche i personaggi che troviamo più
insopportabili e che, tuttavia, alla fine siamo costretti nostro malgrado a
riabilitare almeno in parte.
In effetti i protagonisti di Franzen sono così
vivi e caratterizzati che o li si odia o li si ama. Per fermarci ai due
principali, ho amato Walter e odiato Patty. Sin dall’inizio ho amato Walter per
la sua estrema coerenza, per la sua integrità e il suo zelo onnidirezionale.
Patty invece l’ho odiata per il suo infantilismo, i suoi tediosi piagnucolii,
la sua debolezza, immaturità e acidità.
In questo senso Patty è un’evoluzione
di Caroline, la moglie del Gary delle Correzioni
il quale, diversamente da Walter, è un personaggio paranoico e depresso,
portatore di una visione negativa e parziale della realtà. E, dato che nelle
scene che lo riguardano, il punto di vista del racconto è sempre quello di
Gary, ne deriva che anche la descrizione degli atteggiamenti della consorte
potrebbe essere inficiata dalla sua mancanza di obiettività.
La
depressione è comunque un tema molto presente anche in Libertà, sebbene in forma meno patologica
e claustrofobica rispetto al romanzo precedente.
Infatti come ha affermato
Franzen in un’intervista
“se sei un cittadino dell’Occidente ricco e
prospero, in un mondo così travagliato sul piano ambientale e politico,
dovresti essere davvero malato di mente per non essere ogni tanto un po’
depresso”.
Maggiore
leggerezza non significa però minore impegno sociale e politico: ovunque nel
testo l’autore coglie l’occasione per stimolarci alla riflessione sui macrotemi
dell’attualità: politica, ecologia, sovrappopolazione, guerra, corruzione,
moralità, autorealizzazione.
Particolarmente
incisiva e insistente è l’idea secondo cui il più grande male del pianeta è
costituito dall’eccessivo numero di persone che lo abitano. Tale convinzione
anima Walter sin dai tempi del college e lo induce ad ingaggiare una vera e
propria crociata contro la crescita demografica caldeggiata dai media
tradizionali e dal papa, colpevole di spingere le coppie a procreare, causando
inquinamento e distruggendo l’ambiente.
Per portare la propria battaglia
all’attenzione dell’opinione pubblica, Walter fonda la Nature Conservancy,
un’associazione ambientalista che si propone come atto simbolico la
salvaguardia della dendroica cerulea, una specie ornitologica minacciata dalla
deforestazione e dell’aumento esponenziale di gatti domestici, entrambi effetti
del popolamento umano.
Si spiega così la misteriosa presenza, sulla copertina
del libro, di un guardingo uccelletto azzurrino, che si staglia circospetto
sullo sfondo di un paesaggio lacustre colto al tramonto. Si tratta proprio
della dendroica, simbolo per eccellenza della libertà minacciata e alter ego dei singoli protagonisti e
del genere umano in generale.
E
così dalla prima all’ultima pagina tutti i personaggi sperimentano varie forme
di libertà: la scelta di Patty
di non lavorare e dedicarsi esclusivamente ai figli, il suo tradimento con il
migliore amico del marito, la sua emancipazione dal lavoro e dalla famiglia di
origine, il senso di liberazione offerto ai giovani dalla musica,
l’allontanamento di Richard dai Berglund, la possibilità di Joey di decidere il
proprio futuro, lo sfogo di Walter, la libertà del popolo iracheno rispetto
agli Stati Uniti, l’America come paese della libertà per il padre di Walter, la
separazione dei due coniugi, l’abbandono di Richard da parte di Patty…
Già
nella prima parte del romanzo a Patty sorge il dubbio che sia stata proprio la
sua assoluta libertà a condannarla all’infelicità. E in effetti, benché tutti i
personaggi aspirino ad essere liberi, una volta ottenuto ciò che bramavano,
provano solo una profonda delusione che alla fine li porta a redimersi e a tornare
indietro sui propri passi.
Si fa dunque strada l’idea che la libertà non sia sempre e solo un bene:
essere liberi significa anche avere il potere di sbagliare e autodistruggersi.
Dice ad un certo punto Walter: “Tutto gira
intorno allo stesso problema, le libertà personali […]. La gente è venuta in
questo paese per cercare soldi o libertà. Se non hai soldi, ti aggrappi ancora
più rabbiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non
puoi permetterti di nutrire i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono
ammazzati da un pazzo armato di fucile d’assalto. Sarai anche povero, ma
l’unica cosa che nessuno ti potrà mai togliere è la libertà di sputtanarti la
vita come ti pare e piace.”
Quello
che Franzen vuole dirci, insomma, è che non sempre felicità fa rima con libertà,
soprattutto in un’epoca storica in cui quest’ultima parola è stata
strumentalizzata per raggiungere gli obiettivi più biechi e in cui la difesa
della propria libertà personale è divenuta un’ossessione capace di farci
perdere di vista gli altri valori della vita.
2 commenti:
Ottima recensione come sempre!
Complimenti! mi hai davvero rapita ;)
Miss Piggy
Grazie mille, sono davvero contenta che ti sia piaciuta!
Posta un commento