Registi di Parma – Intervista a Raffaele Salvaggiola
Raffaele Salvaggiola
è regista dalla cultura cinematografica sterminata. Il suo amore incondizionato
per il Cinema traspare dal suo lungometraggio, 1/2, che denota una notevole abilità e precisione nella costruzione
del racconto a tutti i livelli (sceneggiatura, regia, ecc.).
Le sue risposte
restituiscono un profilo maturo, in cui vi è una forte consapevolezza della
propria idea di cinema. Una maturità che gli dà il coraggio di portare a galla,
senza paure e con un pizzico di amarezza, le contraddizioni di un sistema,
quello cinematografico italiano, che in questi anni sta mettendo a nudo tutti i
suoi limiti.
Riferimenti culturali
1) Da dove nasce il tuo amore per il cinema?
Un po’ per mancanza
di stimoli un po’ perché da piccolo mi affascinava molto la strada, la passione
per il cinema così come quella per la lettura è arrivata tardi. Fino agli anni
del liceo conoscevo, o sarebbe meglio dire guardavo, solo le commedie italiane
e i film di avventura trasmessi da Italia Uno, il mio canale preferito per i
cartoni animati.
Poi ho incontrato un
pittore spagnolo che ha iniziato a parlarmi di arte e in particolare di cinema
come mai nessuno aveva fatto. È stato l’inizio delle notti in bianco per seguire
Fuori Orario e i noleggi delle videocassette nelle videoteche di Bari dove ho
studiato all’università.
È divertente
ripensare a quei tempi. Guardando i film dei grandi autori sentivo di essere
ancora acerbo per coglierne a pieno il significato ma facevo i conti per la
prima volta con aspetti che andavano oltre la semplice messa in scena della
trama. Ritmo, fotografia, interpretazioni, suoni. Era come aver “aperto”, più
che “strofinato”, la lampada di Aladino. Mi sono sentito inondato di novità: mi si è aperta la mente e anche il mondo è
diventato più bello.
2) Quali sono i tuoi registi di riferimento?
In realtà preferisco
rispondere a questa domanda dividendo i miei registi preferiti per categoria
perché in questo modo spiego anche cosa intendo per registi preferiti e lascio
aperta la lista ad eventuali new entry, a dimenticanze del momento e a
tipologie di gruppi che adesso ignorerò ma che non è detto che in futuro non possano
entrare nella mia scaletta.
Fellini, Bergman, Tarkovskij, Cassavetes, P.T. Anderson,
Antonioni, Herzog, Bela Tarr per la coerenza della loro filmografia e
l’estrema sincerità di ogni loro opera.
Lynch, Rossellini e Godard, per avere messo in
discussione l’idea di cinema ed aver così aperto la strada al cinema
contemporaneo.
Lars Von Trier come esempio di cineasta in grado di fondere
mondi così distanti come quelli Tarkovskij, Cassavetes e Godard mantenendo
comunque un punto di vista estremamente originale e innovativo.
Degli italiani non
posso non citare Matteo Garrone e le
nuove leve Guadagnino e Carpignano.
Non so se nominare Sorrentino che è stato per anni il mio punto di riferimento
ma che oggi lo percepisco un po’ ridondante.
I nuovi
internazionali e poco conosciuti come Reygadas,
Albert Serra, Grandrieux, Larrain, Antonio Campos.
Sion Sono, Bong Joon-ho, Na Hong-jin sono conseguenza
logica del mio amore incondizionato per il cinema orientale partito dai vari Wang Kar Wai, Kim Ki Duk e Park Chan Wook.
Non posso infine non
nominare Scorsese, Bertolucci, Coppola
e chissà quanti altri che adesso non mi vengono in mente.
3) Quali film annoveri tra i capolavori?
I Pugni In Tasca, Nel
Corso del Tempo, Faust, Holy Motors, Il Petroliere, La
Conversazione, 8½ , Amarcord, Mollholland Drive, Blow-up,
Love Exposure, Tony Manero, Viale del
Tramonto, Lo Specchio, Andrey Rublev, Una Moglie, La sera della
Prima, Il Posto delle Fragole, Il Settimo Sigillo, Segni di Vita, Melancholia,
Old Boy, Mother, Memento, Taxi Driver , Reality, Arancia Meccanica,
Shining, In The Mood For Love, C’Era Una Volta in America e mi fermo qui
sennò non finisco più.
4) Quali sono i film che riguarderesti all’infinito?
All’infinito nessuno
ma ci sono stati e ci saranno lunghi periodi in cui ogni titolo tra quelli
nominati o qualsiasi film tra i miei registi preferiti potrei rivederlo più e più
volte.
5) Quali sono i gruppi e/o cantanti che ascolti
abitualmente?
Sin dall’epoca del
liceo mi sono sempre piaciuti i cantautori italiani e gli album interi di un
artista o di un gruppo, da sentire dall’inizio alla fine, con una certa
predilezione per i concept.
Faccio dei nomi: De
Andrè, De Gregori, Battiato, Battisti, Dalla, Capossela. Tra i giovani dico Di
Martino, Iosonouncane, Le Luci della Centrale Elettrica, Andrea Laszlo De
Simone.
Per quel che riguarda
gli album di autori stranieri, invece, considerando ovviamente tutta la loro
discografia: Kid A, The Dark Side of The Moon, Kind of Blue, Waltz for Debby.
Poi ci sono i gruppi
che amo ascoltare in sottofondo senza preoccuparmi del titolo dell’album: Pat
Metheney Group, The Beatles, The Smiths, Fleet Foxes, Sufjan Stevens, Benjamin
Clementine, David Bowie, Nick Drake, Jeff Buckley, Sigur Ros, Beck.
6) Quali sono i libri e gli autori letterari che ami?
Questa è una domanda
più ostica perché vado a periodi e i ricordi di un libro sono molto forti
subito dopo la lettura, poi lentamente sbiadiscono. Cosa che non mi succede con
i film. Faccio comunque dei nomi, pochi.
Per i libri cito Cent’anni di Solitudine, Ogni cosa è Illuminata, Mattatoio
n°5, Trilogia della città di K.
Gli scrittori Dostoevskij, Kafka, Murakami Haruki (anche se per quest’ultimo
vale quello che ho detto a proposito di Sorrentino).
Infine non posso non
ricordare i libri della Minimum Fax
dedicati ai grandi autori del cinema mondiale.
Processo creativo
7) Da quali idee/influenze nascono i tuoi lavori?
Finora ho sempre
avuto la possibilità, lavorando in autoproduzione, di assecondare la mia idea di Cinema, sicuramente influenzata in vario
modo dagli autori che prima ho citato. Cinema come arte, senza richiami
necessari all’attualità del presente.
Il fatto di non dover
dipendere economicamente dall’arte – di mestiere faccio l’insegnante di fisica
e matematica alle superiori - mi consente di essere più libero e di non dovermi
imporre dei temi sociali o di denuncia solo perché altrimenti non ottengo i
fondi per realizzare i miei film.
8) Quando trovi il tempo per scrivere il soggetto e la
sceneggiatura?
Il lavoro
dell’insegnante ha l’indubbio vantaggio di consentire l’autogestione di metà
del lavoro, quello domestico, fatto di preparazione di lezioni, di formazione,
di correzione delle verifiche, decidendo liberamente come e quando dedicarmi
alla scrittura durante la settimana.
Il fatto di avere un
lavoro fisso fuori dal mondo del cinema mi consente inoltre di non avere fretta
e scadenze ma di aspettare l’ispirazione che potrebbe anche (spero di no) non
venire mai più, senza per questo avere ripercussioni sulla mia vita
professionale.
Comunque a me piace
molto, quando ho delle idee, raccoglierle su taccuini durante lunghe passeggiate pomeridiane al parco
e poi ricopiarle e riordinarle sul computer al ritorno.
Quando mi rendo conto
che gli spunti possono essere sviluppati in un soggetto allora provo ad abbozzarlo.
Ma sono tanti i falsi allarmi. Spesso l’idea non funziona. E allora archivio il
file e preparo una nuova cartella per le idee che verranno in futuro.
Il mese in cui ho
maggiore creatività è senz’altro marzo.
9) Cortometraggio o lungometraggio? Perché?
Lungometraggio, senza dubbio. Prima di tutto perché è il
prodotto cinematografico che più amo da spettatore. E poi perché il lavoro che
c’è dietro un lungometraggio è più affascinante e stimolante in ogni suo step. In
un lungometraggio è più difficile barare. Se non hai qualcosa da dire un film
non può reggere, non ha senso di esistere.
Per i corti è
diverso. Anzi, direi che è quasi l’opposto. Nella maggior parte dei casi i
cortometraggi sono frutto della mano di un prestigiatore che, sfruttando la
breve durata, riesce nella magia di ammaliare il pubblico con i colori
sgargianti della fotografia, i movimenti di macchina morbidi e lenti, le musiche
strappalacrime. E il pubblico è più clemente perché alla fine è stato preso in
giro per soli dieci minuti, quindi può perdonare.
Se fai la stessa cosa
in un lungometraggio allora ti conviene uscire dalla sala prima della fine. Non
nego che ci siano comunque esempi di cortometraggi di alto livello e
probabilmente la mia critica più che al cortometraggio in sé è rivolta alla
maggior parte dei prodotti italiani, soprattutto quelli che raggiungono alti
riconoscimenti.
10) Le scene sono frutto di immaginazione o attingi da
racconti ed esperienze di vita?
Lo spunto me lo dà
sempre qualcosa che ho vissuto.
Tutte le volte in cui ho tentato di partire esclusivamente dalla mia
immaginazione ho fallito. Questo succede perché partendo dall’immaginazione ho
davanti a me uno spazio così ampio da perdermi. Devo costruire da zero la
strada per andare dove? In realtà nella maggior parte dei casi non lo so
neppure io.
Diverso è sfruttare
l’immaginazione per sviluppare un’idea forte che pone le basi in qualcosa che
ho vissuto e che mi ha stimolato in qualche modo. Una volta determinato
l’ambiente in cui posso muovermi, una volta individuati “i confini”, allora sì
che mi sento libero eventualmente anche di scavalcarli con l’immaginazione, ma sempre
in maniera cosciente.
11) I personaggi sono ispirati a persone reali?
Inevitabilmente sì.
12) Sei incline a pensare ad ambientazioni e personaggi
in un contesto comico, drammatico o fantascientifico?
Tendenzialmente vado
sul drammatico anche se nel mio
corto Io Non Parlo Mai – ma anche un
po’ nel lungo – ci sono spunti divertenti e ironici che in un certo senso
rispecchiano maggiormente la mia personalità.
13) Cosa cerchi di comunicare? A chi?
Più che comunicare
con i film cerco di esprimermi. La
speranza è che esprimendomi io possa interessare a un pubblico vasto stimolando
qualcosa dentro di loro. Cosa in particolare non lo so e spero non sia la
stessa cosa per tutti.
Processo realizzativo
14) Come scegli gli attori?
Disponibili al lavoro
anche prima del set, con la voglia di mettere qualcosa di proprio nel personaggio.
15) In base a cosa scegli le location?
Nella maggior parte
dei casi non sono tanto esigente. Nel mio ultimo film alcune stanze di casa mia
erano la casa del protagonista, altre la casa del suo amico. La mia ex scuola è
stata la scuola in cui insegna il personaggio del mio corto ma è anche stata in
seguito la sala proiezioni dove il protagonista del film viene premiato. In
generale spesso quello che cerco sono degli spazi non necessariamente troppo caratterizzati all’interno dei
quali ricreare l’atmosfera che ho in mente.
16) Preferisci girare in interni o in esterni?
È indifferente. Per
questioni tecniche e di libertà è molto meglio un interno, ma gli esterni,
soprattutto se con tante comparse, possono divertirmi di più.
17) Che macchina da presa utilizzi? Qual è il suo maggior
pregio?
Non sono un esperto
dal punto di vista tecnico. L’ultima volta che ho usato io stesso una camera
andava ancora il minidv. Per il film ho seguito il suggerimento del mio
direttore della fotografia che ha voluto utilizzare una RED SCARLET, secondo lui indispensabile per un progetto come il mio
perché registrando in Raw e con obiettivi sufficientemente luminosi si possono
letteralmente abbattere i tempi delle riprese riducendo al minimo il reparto
luci. Considera che il film, che ha una durata di 93 minuti, è stato girato in
soli 16 giorni. Ci sono anche delle immagini girate con una GoPro, ma solo perché era funzionale
alla storia.
18) Qual è il tuo movimento di macchina preferito? Quale
usi più spesso?
Cerco di scegliere
l’inquadratura che secondo me sia la migliore nella specifica situazione. E per
migliore intendo quella che faccia esprimere
al massimo le potenzialità dell’inquadratura nel film sia da un punto di
vista semantico – il contenuto – che da un punto di vista sintattico – la forma.
19) Com’è organizzata una tua giornata di riprese?
Sudore, fatica,
concentrazione. Tutti gli elementi della troupe, tutti gli attori, tutto ciò che ruota attorno a un mio film è
legato a me tramite un filo diretto. Organizzazione, responsabilità, orari,
piani di lavoro, permessi, catering: sono io l’unico responsabile. Ovviamente
ho una schiera di amici, professionisti e non, che mi seguirebbe in capo al mondo
per realizzare un mio film. Però devo e voglio costantemente mostrare a loro che
il primo a rimetterci in tempo, salute e sacrifici sono e sarò sempre io.
20) La sceneggiatura cambia in corso d’opera?
Certo che sì. Quando
giravo i corti, la sola idea che una singola parola della sceneggiatura potesse
essere dimenticata mi metteva i brividi. Poi col tempo ho imparato a vedere l’uomo che è nell’attore. E allora mi si è
aperto un mondo. Credo che sia proprio grazie a questo mio nuovo atteggiamento
che il film funzioni. La maggior parte degli attori che hanno lavorato al mio
ultimo film erano o alla loro prima esperienza nel cinema o non erano affatto
attori. Ci sono monologhi completamente ispirati al vissuto dell’attore che
interpreta il personaggio o arricchiti dei racconti che gli attori stessi mi
hanno fatto durante i colloqui che hanno preceduto le prove. Altre volte mi è
capitato di dover ripensare ai tipi di inquadrature perché quelle previste erano
diventate impossibili o per mancanza di mezzi o per mancanza di tempi. Garantisco
che è una situazione molto stimolante per la creatività quando ti vedi
costretto a ripensare in 10 minuti una scena sapendo che se non ci riesci il
film non lo porterai a termine.
21) Lasci i tuoi attori liberi di improvvisare?
Io non vado sul set
se prima non ho provato con gli attori, singolarmente e insieme. Gli attori
hanno quindi tutto il tempo e la facoltà
di dire la loro su una scena o su una battuta. Mi piacerebbe che una volta
fatto questo non ci fossero molti cambiamenti sul set. Non perché la decisione
presa in precedenza sia incondizionatamente la migliore, ma per una semplice
questione di tempi. Come dice il proverbio, “il tempo è denaro”. Figuriamoci
quando il denaro per comprarlo non c’è.
Ci sono però
situazioni in cui lascio l’attore libero di improvvisare. Questo accade
soprattutto quando la scena è fatta di una sola inquadratura e quando nella
scena non intervengono o non sono coinvolti altri attori.
22) Quali indicazioni dai più spesso ai tuoi attori?
Il lavoro che faccio
con loro è soprattutto di immedesimazione
nel personaggio. Cerco in ogni modo di adattare il personaggio al loro
vissuto e di rendere, grazie ai loro spunti, i personaggi il più possibile “tridimensionali”’.
23) Hai dei collaboratori?
Il direttore della
fotografia del mio ultimo film è un amico con cui ho condiviso alcune delle
tappe più importanti del mio percorso nel mondo del cinema. Ci conosciamo dal
2007 e nonostante da allora lui si sia mosso dovunque nel mondo, siamo in
costante contatto e cerchiamo di collaborare anche in fase di scrittura.
A Parma condivido
tanto cinema col mio amico cineasta Matteo
Macaluso. L’ho conosciuto poco prima che realizzassi il mio corto nel 2012
e da allora siamo l’uno il braccio destro dell’altro, soprattutto sui set.
24) Quanto è importante la musica nei tuoi film? Dove
preferisci utilizzarla?
È molto importante.
Di solito prevedo già in quali parti dovrà essere presente e cerco di evitare gli eccessi. È stato molto interessante lavorare con
l’autore della colonna sonora del lungometraggio. Mi aveva passato dei pezzi
già registrati che avevo da subito considerato perfetti per il film. E infatti
in fase di montaggio non ho dovuto fare altro che posizionare i brani in punti
precisi. Successivamente il musicista ha visto il film con le sue musiche e ci
ha lavorato per migliorarle e aggiungerne altre. In alcuni casi ho tenuto le
vecchie versioni, in altri le ho sostituite. Delle parti nuove aggiunte da lui
ne ho tenute circa il 50%. Inizialmente è stato molto difficile staccarmi dalla
mia prima idea.
25) Quanto ritieni sia importante il montaggio?
Penso sia
importantissimo anche se non credo ai film che acquistano l’identità in
montaggio. Penso che il ritmo, il cuore pulsante del film debba essere
riconoscibile in ogni inquadratura il giorno stesso in cui viene registrata. Non credo nel montaggio salva-film. Il
montaggio è un momento fondamentale per far emergere i punti di forza del film
che però sono stati ben costruiti già in fase di realizzazione. Nel caso del
mio lungometraggio il film è stato pensato per abbattere i tempi di
realizzazione, sia in fase di ripresa che in fase di montaggio. E infatti il
premontato era pronto già dopo una settimana di lavoro. Poi ne è servita
un’altra per arrivare alla versione definitiva.
Il prodotto finito
26) Quali canali sfrutti per diffondere le tue opere?
Festival indipendenti
europei, che cerco tramite le piattaforme presenti sul web. Scarto a priori i
festival americani di medio-basso livello perché ce ne sono migliaia, per la
maggior parte inutili ai fini del percorso dei miei film. Per motivi diversi,
considerando quello che è stato il percorso del mio ultimo film, scarterei i
festival italiani. Principalmente ho potuto constatare l’assenza in Italia di festival
indipendenti di un certo spessore e che abbiano a cuore veramente il cinema
indipendente. C’è spazio per il cinema che usa il cinema come mezzo per fare altro
(denunciare, valorizzare il territorio, ecc.) come Torino o per la
sperimentazione tout-cour come Pesaro. Il resto è solo una markettata un po’ fighetta.
27) Pensi subito di partecipare a qualche concorso o la
decisone dipende soprattutto dal risultato finale?
È sempre l’ultimo dei
miei pensieri. Sono così tanti e variegati i festival sparsi per il mondo e disseminati
nell’anno che quello giusto per il mio film sarà sempre quello che scade il
giorno dopo il finalcut.
28) Hai vinto qualche premio/riconoscimento? Con quali
opere?
Per il mio
lungometraggio considero riconoscimenti l’essere stato tra i sei finalisti
dello Snowdance Independent Film Festival
in Germania, tra i tre finalisti dell’Underground
Film Festival di Dublino e l’aver partecipato assieme a Call Me By Your Name al Sofia
Independent Film Festival.
In Italia è stato
buio totale, e forse questo, col senno di poi, è anch’esso un riconoscimento. Può
sembrare una conclusione affrettata, priva di fondamento, ma sono i numeri che
lo dicono. Su 13 iscrizioni a festival esteri (tra cui Berlino, Tribeca e il
Paris Independent Film Festival) il film ha superato 3 selezioni, quasi il 25%,
che è un ottimo risultato. In Italia su 20 festival il film ha superato una
sola selezione. Il 5%. Perché questa differenza? Questione di gusti? Di
formazione dei selezionatori? Esigenze differenti? Io fingo di non conoscere le
risposte e chiedo ai lettori di trarre le conclusioni.
Il mio corto Io Non Parlo Mai ha invece vinto alcuni
premi in giro per l’Italia, uno di questi è il premio come Miglior Corto
Emiliano al festival ZeroTrenta di Argenta (Fe) edizione 2013.
29) Sei soddisfatto dei tuoi lavori? Quale ti rappresenta
maggiormente?
Tutti in modi diversi
ma nessuno pienamente. Per fortuna.
30) Progetti futuri?
Non credo che un
progetto come quello del mio lungometraggio sia un’esperienza ripetibile. Ha
richiesto tanta energia, troppa. Sia mia, sia di chi in un modo o nell’altro è
stato convolto. Così come non credo che io possa tornare a girare corti. Se
però un giorno dovessi avere una possibilità, forse mi piacerebbe tradurre in
sceneggiatura un romanzo.
Tornando al discorso
sui limiti, mi piace l’idea di delineare ancora di più, prendendo spunto da un
libro, il contorno entro il quale muovermi ed usare la mia immaginazione. Ogni
tanto ci penso, ogni tanto ci provo. È un esercizio utile e stimolante che non
è detto si trasformi in qualcosa di concreto, di realizzabile. Ma è il mio atto
di libertà e quindi continuerò a farlo.
Filmografia
-
- Io Non Parlo Mai, 2012
(cortometraggio)
-
- 1/2, 2016 (lungometraggio)
Biografia
Raffaele Salvaggiola
è un regista lucano che vive a Parma.
Dal 2004 scrive e dirige cortometraggi
che partecipano a festival lucani.
Nel 2012, prodotto
dalla LogicFilm, realizza il cortometraggio Io
Non Parlo Mai, che si aggiudica diversi premi, tra cui: miglior corto
emiliano al festival ZeroTrenta di Argenta, edizione 2013; la Camera d’oro
2013, sezione scuole al Videomaker Film Festival; miglior corto al concorso
Generazione 2020 del festival Hub C Abruzzo, edizione 2013.
Nel 2014 ha girato un
documentario dal titolo Materia Off,
non ancora distribuito.
Nel 2016 scrive,
dirige e produce, assieme alla Magnet Films, 1/2 il suo primo lungometraggio.
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