lunedì 18 giugno 2018

Registi di Parma - Intervista a Pietro Medioli


Registi di Parma – Intervista a Pietro Medioli

Pietro Medioli approda al documentario nel 2000. Fondamentale per il suo percorso artistico è l’incontro con Werner Herzog, uno degli autori con i quali è entrato in contatto lavorando in qualità di aiuto-regista a partire dal 1992 al Teatro dell’Opera di Bonn.
Quartiere Pablo, ultima opera in ordine temporale di una carriera che vanta ben 18 titoli, è una dichiarazione d’amore nei confronti di uno dei quartieri di Parma in cui si respira tradizione e, soprattutto, senso d’appartenenza. Questo aspetto è stato ben colto dal pubblico, che ha riempito le storiche sale della città in occasione di ben otto proiezioni. Un grande risultato, che impreziosisce il percorso di un autore maturo e consapevole.


Riferimenti culturali

1. Da dove nasce il tuo amore per il cinema?
Credo sia iniziato da bambino andando al cinema d’inverno, al pomeriggio, spesso con mio nonno e talvolta con mio padre. Era l’ultimo periodo del western. Mi stupiva soprattutto entrare con la luce del giorno ed uscire con il buio. Poi verso i diciott’anni le rassegne dell’Astra: ricordo quelle su Ferreri, Bergman, Fassbinder.

2. Quali sono i tuoi registi e documentaristi di riferimento?
I registi in generale sono tanti, difficile elencarli. Nel cinema documentario potrò sembrare un po' retro’ ma direi Frederick Wiseman, Jorin Ivens, Vittorio De Seta e Franco Piavoli. Poi ovviamente Herzog.

3. Quali opere annoveri tra i capolavori?
Domanda difficile perché sono tanti. Faccio qualche titolo: La febbre dell’oro e Luci della ribalta di Chaplin, Il cameraman di Keaton, La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, Ombre rosse di Ford, M – Il mostro di Duesseldorf di Lang, Il padrino di Coppola, Toro scatenato di Scorsese, Paisà di Rossellini, Aguirre Furore di Dio di Herzog, Un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio  Petri. Ma tra dieci minuti potrei farne altri 20.

4. Quali sono quelle che riguarderesti più e più volte?
Di sicuro quelli che ho citato. Poi Pianeta Azzurro di Piavoli, Padre padrone dei Taviani, Ladri di biciclette e Suscià di De Sica, quasi tutto Billy WlIder, tutto Kurosawa. Idem per Bergman e Tarkovskij. I film di Ozu che conosco. Il problema è sempre quello, i film valgono quando si vogliono rivedere. Il più grande complimento è quando qualcuno mi dice che ha rivisto un mio film.

5. Quali sono i gruppi e cantanti che ascolti abitualmente?
Sento poca musica pop o rock. Ascolto talvolta cantautori anche italiani. Di fatto però la musica che preferisco è l’opera e la classica di qualsiasi epoca, anche contemporanea. Per me dopo i vent’anni è stato un po' così e questi generi hanno preso il sopravvento. Mentre mi è sempre piaciuto il jazz.

6. Quali sono i libri e gli autori letterari che ami?
Ho sempre letto soprattutto i classici. Mi vanto di aver quasi finito di leggere tutto quello che ha scritto Dostojevskij, mentre di recente ho letto, a distanza di 25 anni, Guerra e Pace per la seconda volta. Per quanto riguarda i contemporanei leggo Roth, Oz, Grossman, Auster, MccCarthy. Per gli italiani sono indietro di vent’anni almeno, i nuovi scrittori non li conosco. Da tempo però ho affiancato alla narrativa la saggistica e i libri di storia e filosofia. Mi piacerebbe leggere un po' di libri di scienze.


Processo creativo

7. Perché hai scelto come forma espressiva proprio il documentario?
Sinceramente non saprei. Dopo la maturità mi sono iscritto a Giurisprudenza ma avevo già in mente di fare il regista. Il cinema, alla metà degli anni Ottanta, mi sembrava irraggiungibile e così iniziai a fare l’aiuto regista in teatro e poi in Germania in un teatro d’opera. Feci anche le mie prime regie. Credo che di fatto sia stato Herzog a portarmi a fare documentari. Una volta a casa sua a Monaco mi disse: “Se non hai bisogno di costumi un film lo fai anche con diecimila marchi”. Più o meno come dire oggi diecimila euro.

8. Da quali spunti, idee e influenze nascono i tuoi lavori?
Credo che di fatto fare un film diventi sempre più un incidente di percorso. Si ha una certa idea su di un certo tema ma difficilmente poi la si realizza. Poi a volte si verificano condizioni strane, come conoscere luoghi  e frequentare persone. Allora, se si vede che c’è carne da mettere al fuoco, si indaga, si ricerca. Ci vuole tempo. Viaggiare credo aiuti molto a conoscere, purtroppo in questi ultimi anni l’ho potuto fare molto poco.

9. Quando trovi il tempo per delineare e definire la struttura delle tue opere?
Il tempo per sviluppare progetti per me non è un problema enorme, per fortuna, perché non sono un dipendente legato agli orari di un cartellino quindi, pur dovendo lavorare, ho dei periodi più o meno lunghi che posso dedicare a quella che ormai da anni non è più un’attività a tempo pieno.

10. Quanto è importante documentarsi sulla tematica da trattare e sui soggetti da intervistare?
Documentarsi è molto importante, sempre. Conoscere il più possibile, che non vuole dire solo leggere, è fondamentale. È indispensabile avere anche un po' di fiuto per trovare le persone “giuste”, ed io credo di averne. Il verbo “intervistare” però lo eviterei. L’intervista è una cosa che va bene nei servizi giornalistici o negli studi televisivi.

11. Organizzi il lavoro per tenere il focus su un singolo tema o è importante prevedere anche eventuali divagazioni?
All’inizio bisogna essere, secondo me, il più possibile aperti, direi a trecentosessanta gradi, già a partire dal tema del film. Nel senso che si può avere uno scopo ma poi notare che non è raggiungibile quell’obiettivo ma un altro. In filosofia si chiama “eterogenesi dei fini”. Abbiamo una meta ma poi ci accorgiamo che a fianco ne esiste un’altra e forse vale la pena non escluderla perché potrebbe diventare quella da raggiungere. Non è detto migliore o più importante, ma raggiungibile. Poi ovviamente si restringe il campo sempre più.

12. Meglio riportare la realtà senza filtri e senza retorica o bisogna trovare il modo di far emergere da essa la parte poetica?
Io non credo si possa riportare la realtà “senza filtri”, credo anche poco nel cinema-verità. Credo anzi che ci voglia invenzione proprio per avvicinare la verità. Certo, poi è indispensabile provocare emozione, creare situazioni e cercare immagini che provochino emozione.

13. Cosa cerchi di comunicare? A chi?
Cerco di comunicare dei sentimenti, delle sensazioni, costruire anche atmosfere; cerco anche di trasmettere un certo grado di verità delle cose, il grado massimo che penso di riuscire a raggiungere. A chi? Non lo so. Comunque sempre al maggior numero di persone, senza distinzioni.


Processo realizzativo

14. Com’è organizzata una tua giornata di riprese?
La organizzo in modo da avere sufficiente tempo per ragionare, preparare quello che anche per il documentario è un set, e per poter girare una scena anche più volte. Ma mai più di due scene al giorno.
Poi cerco anche di tenere un po' di tempo per guardarmi intorno: c’è sempre qualcosa che succede a due passi o a trecento metri. Si verificano spesso delle situazioni improvvise, nuove, mentre si gira e bisogna avere gli occhi ben aperti e le orecchie tese per coglierli al volo. A volte, insomma, si deve un po' cercare di domare il caso.

15. Quanto ritieni siano importanti le interviste? Come le prepari?
Ragiono su quello che deve saltar fuori e lo scrivo sempre prima, anche se poi non corrisponderà. Poi lavoro con le persone, cerco di capire che cosa vogliono dire ma anche che cosa possono o potrebbero dire. Cerco sempre di creare delle situazioni, la cosa contraria all’intervista. Le situazioni poi si sviluppano.

16. Lasci le persone libere di divagare o cerchi, direttamente e/o indirettamente, di indirizzarle?
Inizialmente parlo molto io, le indirizzo. Poi strada facendo le lascio sempre più libere, me ne allontano, cerco di fare in modo che si sentano libere di esprimersi, in un certo senso anche di divagare; ma questo avviene solo se si sentono collocate in una situazione congeniale.

17. In base a cosa scegli le location? Quanto sono importanti?
Sono fondamentali i luoghi. Il termine “location” ormai lo si usa quando si decide in quale ristorante andare! Ma i luoghi sono strettamente legati al tema. In “Tokio-ga” c’è un bel dialogo tra Herzog e Wenders. Wenders deve filmare nel cemento di Tokio e deve individuare i luoghi da riprendere, mentre Herzog gli dice che non è possibile filmare un panorama di cemento. Herzog ha ragione, perché le immagini pure sono, per esempio, quelle della foresta pluviale. Ma Wenders girava nel caos della città, quindi doveva trovare le immagini là.
Tutto questo per dire che siamo legati al luogo dal tema. L’importante è cercare immagini nuove, o comunque immagini che abbiano un loro senso segreto nel deterioramento provocato dal proliferare del digitale.

18. Interni o esterni?
Dipende sempre dalle situazioni che si filmano. Tendenzialmente cerco di trovare degli “esterni”. Difficilmente potrei immaginarmi un film completamente senza “esterni”, mentre senza “interni” non farei fatica.

19. Durante le riprese rispetti la scaletta che ti sei dato o cerchi di cogliere al volo anche le situazioni inaspettate?
Come dicevo precedentemente, rimango sempre con gli occhi ben aperti.

20. Che macchina da presa utilizzi? Qual è il suo maggior pregio?
Non posseggo più una macchina da presa. L’ultima è stata una Sony PD 170 ma mi fu rubata. Devo anche dire che raramente filmo io. Preferisco lavorare con un operatore per due motivi: 1) Di certo è più bravo di me; 2) Il regista deve essere libero e fidarsi di chi ha l’occhio in camera. L’ultimo film è stato girato con la Canon, ma l’importante è avere le ottiche e ormai sono tutte ottime.

21. Hai dei collaboratori?
Certamente, io credo nella troupe. Stimo chi fa tutto da solo ma io sono cosciente di avere dei limiti tecnici. Quindi mi avvalgo sempre dell’aiuto di operatore, fonico e assistente. Anche il direttore di produzione è molto utile, anche se non è obbligatoria una sua presenza fissa.

22. È presente la musica nelle tue opere? Dove preferisci utilizzarla?
Sì, è molto presente. È una componente essenziale. Non credo di essere in grado di immaginare un film senza musica. Spesso l’ho in mente mentre giro, talvolta anche prima. Di solito preferisco usarla da sola, in modo che si leghi alle immagini in modo contrappuntistico, per utilizzare un termine “musicale”. Raramente la uso sotto il parlato, di solito preferisco usarla dopo le parole: dove finiscono le parole inizia la musica.

23. Utilizzi la voce fuori campo? E la parola scritta?
Se intendi la lettura di qualcosa direi di sì, spesso.
Sulla voce fuori campo c’è un lungo discorso. Noi, ovvero coloro che hanno collaborato al rilancio del documentario alla fine degli anni Novanta, abbiamo deciso di eliminarla perché ci sembrava una cosa vecchia. Talvolta è indispensabile, ma va usata con parsimonia, almeno per me. Prossimamente vorrei usare la mia, quando necessaria, anche se temo che usandola potrei rischiare la personalizzazione. Non so. Ma lo farò!

24. Quanto ritieni sia importante il montaggio?
Il montaggio è fondamentale, anche se oggi ha assunto un ruolo forse eccessivo. Sembra che chi monta il film sia il regista e non un secondo regista. Io però ho un’idea di montaggio mentre giro e vado in montaggio con un arco narrativo già abbastanza chiaro dell’intero film, ovviamente suscettibile di cambiamenti. Con il montaggio digitale di oggi si deve però stare molto attenti perché le possibilità sono diventate paradossalmente troppo ampie.

25. Qual è la tua cifra stilistica?
A questa domanda non so rispondere.


Il prodotto finito

26. Quali canali sfrutti per diffondere le tue opere?
L’ultimo mio film, Quartiere Pablo, è stato proiettato a Parma 8 volte e il passaparola ha portato al cinema quasi mille spettatori paganti. In autunno uscirà il dvd. La distribuzione è un problema enorme. Gli ultimi passaggi televisivi dei miei film risalgono al 2007. Forse ci si può aspettare qualcosa di nuovo tramite il web, non so. Di fatto è un imbuto la cui parte superiore si allarga sempre di più mentre quella inferiore si restringe, a sua volta, sempre di più.

27. Pensi subito di partecipare a qualche concorso o la decisione dipende soprattutto dal risultato finale?
Ho smesso da anni di partecipare ai festival. Ci credo poco. Certo, partecipare ad una manifestazione importante non mi dispiacerebbe ma credo poco ai criteri di selezione di oggi, ed ancor meno al sistema dei premi.

28. Hai vinto qualche premio/riconoscimento? Con quali opere?
Ho partecipato a diversi festival nei primi anni 2000 sia in Italia che all’estero, ma non ho mai ottenuto un riconoscimento. Ci sono andato vicino al Libero Bizzarri di San Benedetto del Tronto con Il mondo che abbiamo perduto, a Torino nel 2001 e in Russia con Mezzanotte a Mosca, e nel 2003 a Bellaria con Nostalgia del futuro. A Bellaria Lorenzo Pellizzari su Cineforum scrisse che avrebbe dovuto vincere il mio film. Acqua passata.

29. Sei soddisfatto dei tuoi lavori? Quale ti rappresenta maggiormente?
Complessivamente sono abbastanza soddisfatto. Direi però che, facendo un bilancio, avrei voluto farne due o tre di più, ed erano film ai quali tenevo molto.

30. Progetti futuri?
Attualmente non ho molto in cantiere. Sto partendo per Treviso per dei sopralluoghi sul fiume Sile. Il titolo provvisorio del film è “Il fiume del silenzio”. Lo farò? Chissà!
Poi avrei un progetto di un Macbeth tra Shakespeare e Verdi da ambientare in un castello in provincia di Reggio, un film tra cinema e teatro. Ci penso da anni e credo di avere l’età giusta per farlo.


Filmografia

- Il mondo che abbiamo perduto, 2000
- Botticelli e la Divina Commedia, 2000
- Mezzanotte a Mosca, 2001
- Um Certo Brasil, 2002
- La giacca del tenore, 2003
- Nostalgia del futuro – In viaggio con Vittorio Foa, 2003
- Lezioni d’emergenza, 2005
- Quel pezzo d’Emilia altrove, 2005
- Un leader in ascolto, 2006
- Fermata a richiesta, 2008
- Per esempio Vittorio, 2010
- YIUANA, 2012
- Quartiere Pablo, 2017


Biografia

Pietro Medioli è nato nel 1965 a Parma, dove ha compiuto i suoi studi. Già a vent’anni si occupa di cinema e teatro per una radio privata, è figurante al Teatro Regio di Parma e inizia a collaborare in teatro come aiuto regista volontario. Nel 1990 esordisce come coregista in La donna alla finestra di Hugo von Hofmannsthal (Collecchio-Parma). Segue nel 1991 Nel nome di Mozart (Milano) e nel 1992 Lazarus di Schubert (Milano): poi, per tutti gli anni Novanta, seguiranno regie di opere di Pergolesi, Puccini, Verdi e Wagner. Nel 1992 è chiamato dal regista Giancarlo del Monaco all’Opera di Bonn dove resta otto anni come aiuto regista stabile del teatro, affrontando una quarantina di opere del repertorio francese, tedesco, russo ed italiano, oltre ad opere contemporanee come Hindenburg di Steve Reich, occupandosi anche delle “riprese”. A Bonn lavora con Werner Herzog con il quale ha collaborato poi diverse volte nell’opera e una volta nel cinema. Interrotto il contratto a Bonn è rientrato in Italia nel 2000 dedicandosi prevalentemente al cinema documentario.

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