lunedì 18 giugno 2018

Registi di Parma - Intervista a Pietro Medioli


Registi di Parma – Intervista a Pietro Medioli

Pietro Medioli approda al documentario nel 2000. Fondamentale per il suo percorso artistico è l’incontro con Werner Herzog, uno degli autori con i quali è entrato in contatto lavorando in qualità di aiuto-regista a partire dal 1992 al Teatro dell’Opera di Bonn.
Quartiere Pablo, ultima opera in ordine temporale di una carriera che vanta ben 18 titoli, è una dichiarazione d’amore nei confronti di uno dei quartieri di Parma in cui si respira tradizione e, soprattutto, senso d’appartenenza. Questo aspetto è stato ben colto dal pubblico, che ha riempito le storiche sale della città in occasione di ben otto proiezioni. Un grande risultato, che impreziosisce il percorso di un autore maturo e consapevole.


Riferimenti culturali

1. Da dove nasce il tuo amore per il cinema?
Credo sia iniziato da bambino andando al cinema d’inverno, al pomeriggio, spesso con mio nonno e talvolta con mio padre. Era l’ultimo periodo del western. Mi stupiva soprattutto entrare con la luce del giorno ed uscire con il buio. Poi verso i diciott’anni le rassegne dell’Astra: ricordo quelle su Ferreri, Bergman, Fassbinder.

2. Quali sono i tuoi registi e documentaristi di riferimento?
I registi in generale sono tanti, difficile elencarli. Nel cinema documentario potrò sembrare un po' retro’ ma direi Frederick Wiseman, Jorin Ivens, Vittorio De Seta e Franco Piavoli. Poi ovviamente Herzog.

3. Quali opere annoveri tra i capolavori?
Domanda difficile perché sono tanti. Faccio qualche titolo: La febbre dell’oro e Luci della ribalta di Chaplin, Il cameraman di Keaton, La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, Ombre rosse di Ford, M – Il mostro di Duesseldorf di Lang, Il padrino di Coppola, Toro scatenato di Scorsese, Paisà di Rossellini, Aguirre Furore di Dio di Herzog, Un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio  Petri. Ma tra dieci minuti potrei farne altri 20.

4. Quali sono quelle che riguarderesti più e più volte?
Di sicuro quelli che ho citato. Poi Pianeta Azzurro di Piavoli, Padre padrone dei Taviani, Ladri di biciclette e Suscià di De Sica, quasi tutto Billy WlIder, tutto Kurosawa. Idem per Bergman e Tarkovskij. I film di Ozu che conosco. Il problema è sempre quello, i film valgono quando si vogliono rivedere. Il più grande complimento è quando qualcuno mi dice che ha rivisto un mio film.

5. Quali sono i gruppi e cantanti che ascolti abitualmente?
Sento poca musica pop o rock. Ascolto talvolta cantautori anche italiani. Di fatto però la musica che preferisco è l’opera e la classica di qualsiasi epoca, anche contemporanea. Per me dopo i vent’anni è stato un po' così e questi generi hanno preso il sopravvento. Mentre mi è sempre piaciuto il jazz.

6. Quali sono i libri e gli autori letterari che ami?
Ho sempre letto soprattutto i classici. Mi vanto di aver quasi finito di leggere tutto quello che ha scritto Dostojevskij, mentre di recente ho letto, a distanza di 25 anni, Guerra e Pace per la seconda volta. Per quanto riguarda i contemporanei leggo Roth, Oz, Grossman, Auster, MccCarthy. Per gli italiani sono indietro di vent’anni almeno, i nuovi scrittori non li conosco. Da tempo però ho affiancato alla narrativa la saggistica e i libri di storia e filosofia. Mi piacerebbe leggere un po' di libri di scienze.


Processo creativo

7. Perché hai scelto come forma espressiva proprio il documentario?
Sinceramente non saprei. Dopo la maturità mi sono iscritto a Giurisprudenza ma avevo già in mente di fare il regista. Il cinema, alla metà degli anni Ottanta, mi sembrava irraggiungibile e così iniziai a fare l’aiuto regista in teatro e poi in Germania in un teatro d’opera. Feci anche le mie prime regie. Credo che di fatto sia stato Herzog a portarmi a fare documentari. Una volta a casa sua a Monaco mi disse: “Se non hai bisogno di costumi un film lo fai anche con diecimila marchi”. Più o meno come dire oggi diecimila euro.

8. Da quali spunti, idee e influenze nascono i tuoi lavori?
Credo che di fatto fare un film diventi sempre più un incidente di percorso. Si ha una certa idea su di un certo tema ma difficilmente poi la si realizza. Poi a volte si verificano condizioni strane, come conoscere luoghi  e frequentare persone. Allora, se si vede che c’è carne da mettere al fuoco, si indaga, si ricerca. Ci vuole tempo. Viaggiare credo aiuti molto a conoscere, purtroppo in questi ultimi anni l’ho potuto fare molto poco.

9. Quando trovi il tempo per delineare e definire la struttura delle tue opere?
Il tempo per sviluppare progetti per me non è un problema enorme, per fortuna, perché non sono un dipendente legato agli orari di un cartellino quindi, pur dovendo lavorare, ho dei periodi più o meno lunghi che posso dedicare a quella che ormai da anni non è più un’attività a tempo pieno.

10. Quanto è importante documentarsi sulla tematica da trattare e sui soggetti da intervistare?
Documentarsi è molto importante, sempre. Conoscere il più possibile, che non vuole dire solo leggere, è fondamentale. È indispensabile avere anche un po' di fiuto per trovare le persone “giuste”, ed io credo di averne. Il verbo “intervistare” però lo eviterei. L’intervista è una cosa che va bene nei servizi giornalistici o negli studi televisivi.

11. Organizzi il lavoro per tenere il focus su un singolo tema o è importante prevedere anche eventuali divagazioni?
All’inizio bisogna essere, secondo me, il più possibile aperti, direi a trecentosessanta gradi, già a partire dal tema del film. Nel senso che si può avere uno scopo ma poi notare che non è raggiungibile quell’obiettivo ma un altro. In filosofia si chiama “eterogenesi dei fini”. Abbiamo una meta ma poi ci accorgiamo che a fianco ne esiste un’altra e forse vale la pena non escluderla perché potrebbe diventare quella da raggiungere. Non è detto migliore o più importante, ma raggiungibile. Poi ovviamente si restringe il campo sempre più.

12. Meglio riportare la realtà senza filtri e senza retorica o bisogna trovare il modo di far emergere da essa la parte poetica?
Io non credo si possa riportare la realtà “senza filtri”, credo anche poco nel cinema-verità. Credo anzi che ci voglia invenzione proprio per avvicinare la verità. Certo, poi è indispensabile provocare emozione, creare situazioni e cercare immagini che provochino emozione.

13. Cosa cerchi di comunicare? A chi?
Cerco di comunicare dei sentimenti, delle sensazioni, costruire anche atmosfere; cerco anche di trasmettere un certo grado di verità delle cose, il grado massimo che penso di riuscire a raggiungere. A chi? Non lo so. Comunque sempre al maggior numero di persone, senza distinzioni.


Processo realizzativo

14. Com’è organizzata una tua giornata di riprese?
La organizzo in modo da avere sufficiente tempo per ragionare, preparare quello che anche per il documentario è un set, e per poter girare una scena anche più volte. Ma mai più di due scene al giorno.
Poi cerco anche di tenere un po' di tempo per guardarmi intorno: c’è sempre qualcosa che succede a due passi o a trecento metri. Si verificano spesso delle situazioni improvvise, nuove, mentre si gira e bisogna avere gli occhi ben aperti e le orecchie tese per coglierli al volo. A volte, insomma, si deve un po' cercare di domare il caso.

15. Quanto ritieni siano importanti le interviste? Come le prepari?
Ragiono su quello che deve saltar fuori e lo scrivo sempre prima, anche se poi non corrisponderà. Poi lavoro con le persone, cerco di capire che cosa vogliono dire ma anche che cosa possono o potrebbero dire. Cerco sempre di creare delle situazioni, la cosa contraria all’intervista. Le situazioni poi si sviluppano.

16. Lasci le persone libere di divagare o cerchi, direttamente e/o indirettamente, di indirizzarle?
Inizialmente parlo molto io, le indirizzo. Poi strada facendo le lascio sempre più libere, me ne allontano, cerco di fare in modo che si sentano libere di esprimersi, in un certo senso anche di divagare; ma questo avviene solo se si sentono collocate in una situazione congeniale.

17. In base a cosa scegli le location? Quanto sono importanti?
Sono fondamentali i luoghi. Il termine “location” ormai lo si usa quando si decide in quale ristorante andare! Ma i luoghi sono strettamente legati al tema. In “Tokio-ga” c’è un bel dialogo tra Herzog e Wenders. Wenders deve filmare nel cemento di Tokio e deve individuare i luoghi da riprendere, mentre Herzog gli dice che non è possibile filmare un panorama di cemento. Herzog ha ragione, perché le immagini pure sono, per esempio, quelle della foresta pluviale. Ma Wenders girava nel caos della città, quindi doveva trovare le immagini là.
Tutto questo per dire che siamo legati al luogo dal tema. L’importante è cercare immagini nuove, o comunque immagini che abbiano un loro senso segreto nel deterioramento provocato dal proliferare del digitale.

18. Interni o esterni?
Dipende sempre dalle situazioni che si filmano. Tendenzialmente cerco di trovare degli “esterni”. Difficilmente potrei immaginarmi un film completamente senza “esterni”, mentre senza “interni” non farei fatica.

19. Durante le riprese rispetti la scaletta che ti sei dato o cerchi di cogliere al volo anche le situazioni inaspettate?
Come dicevo precedentemente, rimango sempre con gli occhi ben aperti.

20. Che macchina da presa utilizzi? Qual è il suo maggior pregio?
Non posseggo più una macchina da presa. L’ultima è stata una Sony PD 170 ma mi fu rubata. Devo anche dire che raramente filmo io. Preferisco lavorare con un operatore per due motivi: 1) Di certo è più bravo di me; 2) Il regista deve essere libero e fidarsi di chi ha l’occhio in camera. L’ultimo film è stato girato con la Canon, ma l’importante è avere le ottiche e ormai sono tutte ottime.

21. Hai dei collaboratori?
Certamente, io credo nella troupe. Stimo chi fa tutto da solo ma io sono cosciente di avere dei limiti tecnici. Quindi mi avvalgo sempre dell’aiuto di operatore, fonico e assistente. Anche il direttore di produzione è molto utile, anche se non è obbligatoria una sua presenza fissa.

22. È presente la musica nelle tue opere? Dove preferisci utilizzarla?
Sì, è molto presente. È una componente essenziale. Non credo di essere in grado di immaginare un film senza musica. Spesso l’ho in mente mentre giro, talvolta anche prima. Di solito preferisco usarla da sola, in modo che si leghi alle immagini in modo contrappuntistico, per utilizzare un termine “musicale”. Raramente la uso sotto il parlato, di solito preferisco usarla dopo le parole: dove finiscono le parole inizia la musica.

23. Utilizzi la voce fuori campo? E la parola scritta?
Se intendi la lettura di qualcosa direi di sì, spesso.
Sulla voce fuori campo c’è un lungo discorso. Noi, ovvero coloro che hanno collaborato al rilancio del documentario alla fine degli anni Novanta, abbiamo deciso di eliminarla perché ci sembrava una cosa vecchia. Talvolta è indispensabile, ma va usata con parsimonia, almeno per me. Prossimamente vorrei usare la mia, quando necessaria, anche se temo che usandola potrei rischiare la personalizzazione. Non so. Ma lo farò!

24. Quanto ritieni sia importante il montaggio?
Il montaggio è fondamentale, anche se oggi ha assunto un ruolo forse eccessivo. Sembra che chi monta il film sia il regista e non un secondo regista. Io però ho un’idea di montaggio mentre giro e vado in montaggio con un arco narrativo già abbastanza chiaro dell’intero film, ovviamente suscettibile di cambiamenti. Con il montaggio digitale di oggi si deve però stare molto attenti perché le possibilità sono diventate paradossalmente troppo ampie.

25. Qual è la tua cifra stilistica?
A questa domanda non so rispondere.


Il prodotto finito

26. Quali canali sfrutti per diffondere le tue opere?
L’ultimo mio film, Quartiere Pablo, è stato proiettato a Parma 8 volte e il passaparola ha portato al cinema quasi mille spettatori paganti. In autunno uscirà il dvd. La distribuzione è un problema enorme. Gli ultimi passaggi televisivi dei miei film risalgono al 2007. Forse ci si può aspettare qualcosa di nuovo tramite il web, non so. Di fatto è un imbuto la cui parte superiore si allarga sempre di più mentre quella inferiore si restringe, a sua volta, sempre di più.

27. Pensi subito di partecipare a qualche concorso o la decisione dipende soprattutto dal risultato finale?
Ho smesso da anni di partecipare ai festival. Ci credo poco. Certo, partecipare ad una manifestazione importante non mi dispiacerebbe ma credo poco ai criteri di selezione di oggi, ed ancor meno al sistema dei premi.

28. Hai vinto qualche premio/riconoscimento? Con quali opere?
Ho partecipato a diversi festival nei primi anni 2000 sia in Italia che all’estero, ma non ho mai ottenuto un riconoscimento. Ci sono andato vicino al Libero Bizzarri di San Benedetto del Tronto con Il mondo che abbiamo perduto, a Torino nel 2001 e in Russia con Mezzanotte a Mosca, e nel 2003 a Bellaria con Nostalgia del futuro. A Bellaria Lorenzo Pellizzari su Cineforum scrisse che avrebbe dovuto vincere il mio film. Acqua passata.

29. Sei soddisfatto dei tuoi lavori? Quale ti rappresenta maggiormente?
Complessivamente sono abbastanza soddisfatto. Direi però che, facendo un bilancio, avrei voluto farne due o tre di più, ed erano film ai quali tenevo molto.

30. Progetti futuri?
Attualmente non ho molto in cantiere. Sto partendo per Treviso per dei sopralluoghi sul fiume Sile. Il titolo provvisorio del film è “Il fiume del silenzio”. Lo farò? Chissà!
Poi avrei un progetto di un Macbeth tra Shakespeare e Verdi da ambientare in un castello in provincia di Reggio, un film tra cinema e teatro. Ci penso da anni e credo di avere l’età giusta per farlo.


Filmografia

- Il mondo che abbiamo perduto, 2000
- Botticelli e la Divina Commedia, 2000
- Mezzanotte a Mosca, 2001
- Um Certo Brasil, 2002
- La giacca del tenore, 2003
- Nostalgia del futuro – In viaggio con Vittorio Foa, 2003
- Lezioni d’emergenza, 2005
- Quel pezzo d’Emilia altrove, 2005
- Un leader in ascolto, 2006
- Fermata a richiesta, 2008
- Per esempio Vittorio, 2010
- YIUANA, 2012
- Quartiere Pablo, 2017


Biografia

Pietro Medioli è nato nel 1965 a Parma, dove ha compiuto i suoi studi. Già a vent’anni si occupa di cinema e teatro per una radio privata, è figurante al Teatro Regio di Parma e inizia a collaborare in teatro come aiuto regista volontario. Nel 1990 esordisce come coregista in La donna alla finestra di Hugo von Hofmannsthal (Collecchio-Parma). Segue nel 1991 Nel nome di Mozart (Milano) e nel 1992 Lazarus di Schubert (Milano): poi, per tutti gli anni Novanta, seguiranno regie di opere di Pergolesi, Puccini, Verdi e Wagner. Nel 1992 è chiamato dal regista Giancarlo del Monaco all’Opera di Bonn dove resta otto anni come aiuto regista stabile del teatro, affrontando una quarantina di opere del repertorio francese, tedesco, russo ed italiano, oltre ad opere contemporanee come Hindenburg di Steve Reich, occupandosi anche delle “riprese”. A Bonn lavora con Werner Herzog con il quale ha collaborato poi diverse volte nell’opera e una volta nel cinema. Interrotto il contratto a Bonn è rientrato in Italia nel 2000 dedicandosi prevalentemente al cinema documentario.

giovedì 7 giugno 2018

Registi di Parma - Intervista a Stefano Terenziani



Registi di Parma – Intervista a Stefano Terenziani

Stefano Terenziani è un’istituzione del cinema amatoriale di Parma e provincia.
Recentemente lo abbiamo potuto vedere nel Segreto del lago di Fabio “Zedd” Cavallo e 1/2 di Raffaele Salvaggiola, in cui si è distinto per le sue ottime prove attoriali. Ma Terenziani è molto di più. È regista con all’attivo cortometraggi che hanno ottenuto importanti riconoscimenti nonché punto di riferimento per i colleghi e i giovani registi che stanno provando a muovere i primi passi nel mondo del cinema. Ciò che lo connota è una passione smisurata (“non un’ossessione”, gli piace precisare), una profonda conoscenza della storia del Cinema e soprattutto tanta tanta esperienza.


Riferimenti culturali

1. Da dove nasce il tuo amore per il cinema?
Nasce da bambino, guardando vecchi film Western in televisione. Mio padre conosceva il nome di tutti gli attori, ma in particolare mi colpiva come potesse ricordare i non protagonisti come Walter Brennan, Ward Bond, Thomas Mitchell o Barry Fitzgerald. Per emulazione iniziai a ricordarli e, inevitabilmente, ad amarli.
Da quel momento è iniziata una specie di malattia, più di una passione e meno di un’ossessione per fortuna. La mia casa di produzione, molto casalinga, in realtà non esiste ma omaggia questa eredità paterna: “ACHITER VIDEO”, acronimo del nome di mio padre ACHIlle TERenziani.

2. Quali sono i tuoi registi di riferimento?
Dovrei fare centinaia di nomi. Amo il cinema, lo studio, lo colleziono, lo pratico perché la teoria da sola serve a poco se vai in cerca di una vera conoscenza.
Detto questo, posso affermare che preferisco il cinema di genere. Sono consapevole che sia un processo creativo ricchissimo di contributi artistici. Adoro anche il cinema “d’autore”. Tuttavia sposo alla lettera la frase che Frank Capra scrisse in apertura della sua biografia: “Non ci sono regole nel fare Cinema. Solo peccati. E il peccato capitale è la noia.” Preferisco Monicelli ad Antonioni, per essere chiari.

3. Quali film annoveri tra i capolavori?
Anche questo è un elenco che non riesco a fare. Se poi, oltre a quelli che lo sono oggettivamente, valgono anche quelli che io personalmente ritengo “capolavori”, allora diventerebbe una vera tela di Penelope. Ne scelgo tre: A qualcuno piace caldo; Il buono, il brutto, il cattivo; Totò, Peppino e la… malafemmina.

4. Quali sono i film che riguarderesti all’infinito?
Sono tantissimi. Sicuramente i tre che ho citato prima.

5. Quali sono i gruppi e/o cantanti che ascolti abitualmente?
Ho una playlist di canzoni che ascolto molto spesso. Sono i brani della classifica di Billboard, i primi 100 per ogni anno, ma dal 1970 al 1979, senza distinzione di genere.
Da ragazzo ascoltavo tanto Talking Heads, Xtc, new wave in generale. Poi ho avuto un trip bestiale per Paolo Conte, mentre ora quasi tutta la musica suonata dopo gli anni 70 mi annoia. Poi ascolto tanta Motown e Van Morrison.

6. Quali sono i libri e gli autori letterari che ami?
Amo l’editoria cinematografica in generale, la saggistica e le biografie, i volumi fotografici di grande formato. Li preferisco alle analisi critiche sul lavoro degli autori, che sono scritte in modo complicato. Ma è un mio limite. Libri/conversazione come quelli di Bogdanovich con Orson Welles, di Cameron Crowe con Billy Wilder, di Michael Ondaatje con Walter Murch, sono per me sono vere e proprie “esperienze orgamische”. Per non ci citare la più conosciuta di Truffaut a Hitchcock.
Quando, nel tempo che mi rimane, leggo la narrativa la mia attenzione va agli autori americani come Elmore Leonard, James Ellroy, Joe Lansdale.

Durante la lavorazione di "Amor Sacro e Amor Profano"
Processo creativo

7. Da quali idee/influenze nascono i tuoi lavori?
Trattandosi di cortometraggi spesso basta un’intuizione o semplicemente la disponibilità di una location particolare. Poi si parte anche con progetti impegnativi perché semplicemente promettono tanto divertimento. Le influenze sono spesso le amicizie, vecchie e nuove. Qualcuno ci mette un’idea e da lì le cose si sviluppano. Una volta aiuti gli altri e l'altra sono loro che aiutano te.

8. Quando trovi il tempo per scrivere il soggetto e la sceneggiatura?
Il tempo lo si trova quando si muove qualcosa, dentro o fuori di te.
Sempre Frank Capra diceva che “il cinema è una malattia”, ti viene una specie di  febbre quando avverti che si può raccontare una nuova storia e l’unico antidoto è andare avanti. Inizi allora a lavorarci con tanto impegno, perché ti fa stare bene farlo. Più la storia ti sembra buona e più trovi il tempo per scriverla.

9. Cortometraggio o lungometraggio? Perché?
Cortometraggio perché è una palestra necessaria per conoscere il mezzo e costa poco. Poi, se lo fai per hobby e hai un cartellino da timbrare e una famiglia, tanto tempo non ne hai. Come ho detto, per fortuna il cinema per me è meno di un’ossessione. Ho iniziato perché avevo in mano una videocamera per riprendere mia figlia da bambina. Ora che è diventata adulta forse giungerà il tempo dei lungometraggi. Sono arrivato a realizzare audiovisivi di 40/50 minuti in passato e ho partecipato a quelli di amici che hanno affrontato la “montagna” del lungometraggio. Ho visto di persona l’impegno che richiede, anche economico, e non è poco.  

10. Le scene sono frutto di immaginazione o attingi da racconti ed esperienze di vita?
Generalmente sono frutto di immaginazione.
           
11. I personaggi sono ispirati a persone reali?
A volte sì, ad esempio nella serie web Baretto, creata da Carlo Rizzelli e Andrea Ferraguti, la stessa idea di base della serie partiva dalla fauna particolare che abita certi bar di provincia.
Ed il personaggio del cortometraggio Elvira, che abbiamo realizzato successivamente, partiva proprio dalla voglia di fare protagonista Elvira Balestrazzi che interpretava ruoli di contorno nella serie.

12. Sei incline a pensare ad ambientazioni e personaggi in un contesto comico, drammatico o fantascientifico?
La commedia è la mia palude, e io nuoto come un alligatore in quella palude.

13. Cosa cerchi di comunicare? A chi?
L’obbiettivo è creare attenzione, divertimento, costruire un meccanismo che funzioni. Che significato posso avere e per chi non è mai una domanda che mi pongo prima. Procedo in modo anche molto istintivo. Poi, naturalmente, a lavoro finito puoi scoprire significati che neanche immaginavi tra le pieghe di quello che racconti, di aver detto o non detto cose importanti per qualcuno.

Sul set di "6 Could Be 9"
Processo realizzativo

14. Come scegli gli attori?
Sto attento alla loro “somiglianza” al personaggio.
Attingere poi al lavoro di attori professionisti capaci di interpretare qualsiasi ruolo ha un costo (come è giusto che sia), quindi viva gli appassionati di recitazione e gli amici con la personalità adatta alla parte.

15. In base a cosa scegli le location?
Le location hanno una funzione precisa per il servizio che possono dare al racconto. Le scelte sono quindi dettate dalla storia stessa, contengono l’atmosfera del film. A volte ti trovano loro, a volte le trovano gli amici, a volte hai finito il film e lei stai ancora cercando.

16. Preferisci girare in interni o in esterni?
È indifferente in realtà. Ma il cinema è una fusione di conoscenze tecniche e sensibilità artistiche che si devono combinare anche quando il livello è hobbistico. In esterni la fonte d’illuminazione principale è una e tutti i santi aiutano. In interni a volte con la mancanza di una figura professionale come il direttore della fotografia la paghi cara. Come per l’aspetto audio del resto. Servono materiali costosi e soprattutto chi li sa utilizzare.

17. Che macchina da presa utilizzi? Qual è il suo maggior pregio?
Ho iniziato con una palmare VHS per i primi corti. Poi tutta la trafila digitale: HI8, MiniDv, HD, FullHD. Al 4K ancora non ci sono arrivato. Alcuni lavori recenti sono realizzati con videocamera Prosumer Panasonic o con una reflex Canon. Ma questa continua rincorsa all’ultima versione dell’alta definizione in realtà complica solo le cose, si potrebbe raccontare una buona storia anche con tre polaroid.

18. Qual è il tuo movimento di macchina preferito? Quale usi più spesso?
Mi chiedo prima se un particolare movimento serve e aggiunge veramente qualcosa alla scena. Poi, se ho i mezzi per realizzarlo, procedo. Un amico prezioso, Michele Coser, ha un piccolo carrello e un crane. Io ho acquistato un modesto slider. Con questi muoviamo la camera. Però, ripeto, non ho un movimento di macchina preferito.

19. Com’è organizzata una tua giornata di riprese?
Per prima cosa considero la disponibilità di chi dà una mano. Se paghi i professionisti ti organizzi come vuoi a seconda del tuo budget, altrimenti valgono altre regole.
Alla fine i due sistemi non sono tanto diversi. Può cambiare il risultato naturalmente, bello o brutto è sempre cinema, ma anche quando hai a disposizione milioni di dollari il film non sarà mai come te lo eri immaginato all’inizio: il risultato finale dipende da troppe personalità.

20. La sceneggiatura cambia in corso d’opera?
Naturalmente, per i motivi e le esigenze descritte sopra. Non sono cambiamenti radicali, se possibile, ma restare aperti durante le riprese ad ogni tipo di suggerimento arricchisce il film senza ombra di dubbio e ti permette di superare gli imprevisti che inevitabilmente si presenteranno.

21. Lasci i tuoi attori liberi di improvvisare?
Come dicevo in precedenza non sono quasi mai professionisti quindi è necessario che possano dare un contributo personale per essere credibili. Se fossero professionisti sarebbero ancora più liberi di improvvisare sul set. Avendo gli strumenti del mestiere porterebbero il personaggio ad un livello di realismo altissimo.

22. Quali indicazioni dai più spesso ai tuoi attori?
Prima di arrivare sul set cerco di fargli “vedere” come intendo il personaggio, come si comporta, di che natura sono le sue emozioni, come reagisce agli eventi della storia. Sul set cerco di metterli a loro agio il più possibile e aspetto che la magia si manifesti.


23. Hai dei collaboratori?
In realtà questa domanda risponde anche alla seconda, relativa ai miei registi di riferimento.
Quando realizzo qualche progetto non penso ad un regista in particolare ma faccio riferimento ad amici fondamentali senza i quali non avrei fatto e imparato nulla in questi anni. Tra gli altri (la lista completa sarebbe davvero lunghissima): Gian Luca Salsi, Salvatore Pelliccia e Paolo Rasori, poi Fabio “Zedd” Cavallo, Marco Cavallo, Loris Lestini, Daniela Stecconi, Vittorio Scotti, Marco Guareschi, Francesco Pinna Pignoli, Gian Maria Pacchiani, Primo Giroldini, Filippo Chiesa, Paolo “Hyena” Lasagni, Ferdinando Anceschi, Johnny La Rosa, Ivan Montanari, Alice Camattini, Pietro Anastasi, Marco Mezzadri, Mario Paroli, Stefania Pioli, Luca Gorreri, Fausto Tinello, Paolo D’Errico, Simone Ferrari, Matteo Macaluso, Maurizio Notari, Monica Rossi, Silvia Degani, Roberto Gorreri, Raffaella Bernabè, Nico Carrato ,Paolo Croci, Michele Coser, Anna Mazza, Angelica Milia, Raffaele Salvaggiola, Elvira Balestrazzi, Andrea Ferraguti e Carlo Rizzelli con i quali ho realizzato le ultime cose e con alcuni di questi collaboro da anni.
Ultime ma non ultime mia moglie Alessandra Bosi e mia figlia Erica Yvonne Terenziani, hanno collaborato a diversi progetti ed insieme a loro è partito tutto.
Per collaborazione intendo che se cercano un attore o semplicemente una mano per spostare uno stativo io rispondo presente e se invece a mia volta devo mettere in piedi la produzione di un qualsivoglia progetto posso contare sul loro appoggio. Questo significa Low Budget.

Tutti hanno passione e sono autori, sceneggiatori, registi, operatori, attori e attrici, musicisti, video maker. Con ognuno di loro, ed anche con altri che per motivi di spazio non posso nominare e me ne scuso,  ho passato momenti speciali.

24. Quanto è importante la musica nei tuoi film? Dove preferisci utilizzarla?
È molto importante. Inizialmente attingevo a musiche esistenti di vari autori, più o meno celebri. Poi, grazie anche a fortunati incontri, ho iniziato collaborazioni con musicisti (anche professionisti) che hanno realizzato musiche originali sul mio montaggio. Montaggio che a volte ho addirittura modificato per adeguarlo alle loro musiche. Avendo una forza emotiva enorme utilizzo la musica solo quando serve veramente. Messa a sproposito non aiuta.

25. Quanto ritieni sia importante il montaggio?
Importantissimo. Può influire sul significato e l’efficacia stessa di una scena. Il montaggio è l’unica forma di linguaggio veramente nuova e originale che il cinema ha portato in dote. La scrittura, il teatro e la recitazione già esistevano, cosi come la fotografia. Mettere le immagini in movimento non è stato così innovativo come la sequenza con cui alternarle. Ed è sbalorditivo come da subito per il pubblico sia stato normale seguire un racconto frammentato, quando nella realtà tutto ci appare insieme e nello stesso momento davanti agli occhi. Il montaggio poi è il momento nel quale vedi materializzarsi il lavoro. Nel bene e nel male è fondamentale.

Con Carlo Rizzelli e Andrea Ferraguti sul set della webserie "Baretto"
Il prodotto finito

26. Quali canali sfrutti per diffondere le tue opere?
Un tempo solo i festival. Ora ci sono più festival che videomaker. Hanno perso il loro senso. Solo pochi hanno un’attenzione onesta al lavoro degli autori. Si può provare a partecipare a questi pochi e ai più importanti, che fondamentalmente è come comprare un gratta e vinci.
Poi si può mettere il video su YouTube o Vimeo.
Sarebbe molto bello che sul territorio si iniziasse a proiettare regolarmente i cortometraggi, e non solo, prodotti nella nostra Provincia. In una forma e uno spazio da decidere, un cinema, una rassegna… ma senza selezioni da parte di qualcuno, uno spazio per tutti indistintamente. Un incontro con un vero pubblico fatto di carne e ossa e non di “like” sul web, aiuterebbe molto i giovani autori nel trovare stimoli ad andare avanti. Sentire partecipare gli spettatori fa crescere, fa capire e fa trovare collaborazioni di ogni tipo.

27. Pensi subito di partecipare a qualche concorso o la decisione dipende soprattutto dal risultato finale?
In passato, agli inizi, un paio di corti li realizzai proprio per partecipare a Festival che avevano una “sezione a tema”, tipo lo Sport o la Memoria. Era interessante misurarsi con un tema predefinito, era come essere a scuola, ed in effetti erano tentativi di mettere in pratica quanto da autodidatta avevo imparato.
Ora realizzo quello che mi piace, l’importante che ci sia una storia da raccontare. Dove questa storia verrà raccontata è un problema da affrontare in seguito.

28. Hai vinto qualche premio/riconoscimento? Con quali opere?
Sono diversi, la maggior parte poco importanti, ma sono molto affezionato ai premi vinti all’Euro Video Festival in un paio di occasioni. Quei corti non sono in rete però.
Di seguito tre corti a cui tengo molto, con i link dove vederli e alcuni premi vinti:

- Crudo. Un film senza condimento, 2004, Commedia, 17 min., MiniDv
Realizzato con Fabio Zedd Cavallo
Premio della Critica "Alberto Farassino" al “Festival di Bellaria”;
Anteprima del Cinema Italiano e Miglior Film al “Festival del Cinema Trash di Torino”, premiato dai Manetti Bros.

- Amor Sacro e Amor Profano, 2005, Dramma Melò, 13 min., MiniDv
Primo Premio al “Grand Prix Sony", Svizzera;
Premio Speciale della Giuria a “Fiati Corti Istrana” (TV);
Miglior attrice alla protagonista Anna Mazza “ConCorto Piacenza”;
Oscarino alla miglior colonna sonora a “Lovere” (BG).

- ELVIRA, 2014, Fiction, 20 min., FullHD
Premio Speciale della Giuria al “Terra di Siena International Film Festival”;
Miglior Corto dell'Emilia Romagna al “Zero Trenta Festival Argenta” (FE);
Trasmesso dal canale televisivo IRIS.

29. Sei soddisfatto dei tuoi lavori? Quale ti rappresenta maggiormente?
Sono sempre soddisfatto, perché le opere lasciano sempre molto di più della storia che raccontano. Sul piano dei rapporti umani intendo. Ho amici da Marsiglia alla provincia di Palermo. Grazie a questa passione potrei dire che ognuno degli audiovisivi realizzati è un successo enorme.
Ad esempio la serie web Baretto, alla quale ho partecipato insieme a molti dei nomi che ho citato in precedenza e molti altri, creata da Andrea Ferraguti e Carlo Rizzeli (36 puntate di circa 10 minuti l’una, un progetto enorme e durato circa tre anni), è stata a mio avviso un grande successo. Di premi non ne ha vinti, troppo “caratteristica” per avere i favori di una qualsiasi giuria, ma che divertimento e che esperienza di vita che è stata! Spero che chi legge possa aggiungersi alle circa 60mila visualizzazioni complessive della serie.
A questo link una delle tre puntate dirette da Terenziani: https://youtu.be/ZQVN6zjSPBY

30. Progetti futuri?
È in corso la scrittura di un lungo a 4 mani con Paolo Croci (da un suo progetto), la realizzazione di un documentario e, tra agosto e settembre, la produzione del primo corto da regista di mia figlia Erica Yvonne, colei dalla quale tutto è partito.

Sul set di "Trid cme' la bula"
Filmografia parziale

- Bocs, commedia, 8 minuti, b/n, Digital8, 2000.
           
- Che fine ha fatto l'Orfeo?, doc., 10 min., colori, MiniDv, 2002.

- Emiliana (montaggio e post-produzione) di Paolo Lasagni e Ferdinando Anceschi, doc., 30 min., colori, Digital8, 2003.
                  
- Tra cielo e terra, figli dello stesso Dio, doc. su comunità disabili psichici di Geraci Siculo, 20 min., colori, MiniDv, 2003.

- Crudo. Un film senza condimento (in collaborazione con Fabio “Zedd” Cavallo), Fiction, 17 min., colori, MiniDv, 2004.
                                     
- Amor Sacro e Amor Profano, Fiction, 13 min., colori, MiniDv, 2005.

- Meglio Lavorare (in collaborazione con Fabio “Zedd” Cavallo), Fiction, 45 min., 45 min., colori, MiniDv, 2009.
                                     
- 6 Could Be 9 (in collaborazione con Paolo Lasagni), 43 min., Fiction/sperimentale, colori, MiniDv, 2010.
                                              
- BarEtto (attore, produzione, regista di tre puntate) progetto di Andrea Ferraguti e Carlo Rizzelli, webserie genere demenziale, 36 puntate della durata di 8 minuti circa, B/N e colori, fullHD, 2012-2013.

- Elvira, fiction, 20 min., colori, FullHD, 2014.

- Trid cme’ la bula (produzione, attore, consulente dialettale e montaggio backstage) di Gianfranco Pannone, prodotto da Primo Giroldini, doc., 45 min., colori, 2015. Realizzato insieme a Monica Rossi, Silvia Degani, Roberto Gorreri, Raffaella Bernabè e Nico Carrato.

- Il domatore di rane (produzione e regia in collaborazione con Andrea Ferraguti, montaggio), documentario sulla vita e le opere di Lorenzo Dondi, 50 min., FullHD, 2017.

Con gli attori in "Amor Sacro e Amor Profano"
Biografia

Stefano Terenziani nasce a Parma 14 luglio 1964. Gli piace ricordare di essere “nato in casa, in piazzale S. Croce, quindi con un certo pedigree riguardo alla Parmigianità”.
Nel 2000 inizia a realizzare cortometraggi sperimenta diversi generi, compreso il documentario. Nel corso degli anni collabora con molti videomaker, professionisti e non. In alcuni casi condivide la regia e la produzione, cura il montaggio o interpreta una parte.
Sempre pronto ad aggiornarsi, frequenta negli anni numerosi seminari e workshop tenuti tra gli altri da: Alessandro D'Alatri, Umberto Contarello, Giuseppe Piccioni, Domenico Procacci, Tinto Brass, Sergio Rubini, Gianfranco Pannone.




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