Fade
- Storia degli ultimi giorni
di Alessandro Bertoncini
con Edoardo Bocchi, Massimo Boschi, Giorgia Castrogiovanni,
Gabriele Ciances,
Pietro Oddi, Bob Messini
Commedia, 70 min., Italia, 2014
Giovedì
15 gennaio è stato il giorno di Alessandro Bertoncini, regista in erba che ha
avuto il privilegio di presentare Fade -
Storia degli ultimi giorni, la sua opera prima, al pubblico di Parma.
Inizio proiezione ore 21. Nell'ingresso del cinema Astra vengono consegnati due
foglietti con, rispettivamente, la sinossi dell'opera e una scheda di
valutazione (indice di gradimento da 1 a 5, come le stelline del Morandini).
Entro e mi siedo in ultima fila. L'emozione è forte: la sala di proiezione è
piena di ragazzi giovani e tra loro, oltre a qualche curioso, volti noti della
città: almeno un assessore (non quello alla cultura), un paio di docenti
universitari e personalità appartenenti al mondo del cinema e dello spettacolo.
Proprio uno di questi introduce l'opera e gli interpreti. Ad entrare per ultimo
Bertoncini, studente ventenne al secondo anno dell'Accademia di Cinema presso
la RUFA di Roma che si è autoprodotto l'opera rinunciando all'acquisto
dell'automobile che gli aveva promesso il nonno (encomiabile, non c'è che
dire).
Le luci si abbassano e inizia il film, di chiara ispirazione
autobiografica, dove ad una storia d'amicizia se ne intreccia una d'amore,
impossibile e tormentata. E poi gli ultimi giorni di scuola, l'esame di
maturità, l'indecisione e la paura per il futuro, l'amicizia.
Ora il dubbio
amletico: tacere sui limiti di questo esordio, proseguendo sulla strada della
mera esaltazione di un'opera solo perché autoprodotta, o esporli tutti? Sono
convinto che, soprattutto in ambito artistico, le critiche siano sempre
costruttive se oneste e argomentate. Procedo dunque ad un'analisi dell'opera
per punti, per una maggiore chiarezza.
Il tema trattato
Obiettivo
dichiarato dell'opera è quello di parlare della cosiddetta "linea
d'ombra", ovvero di quel passaggio tra giovinezza e età adulta di memoria
conradiana che si declina in nuove responsabilità sociali e sentimentali. Qui
il periodo viene fatto coincidere con i giorni degli esami di maturità e di un
amore reso impossibile dalla paura di svelare i propri sentimenti. Tema troppo
scarno per un lungometraggio e comunque troppo retorico per risultare
innovativo/interessante. E infatti per stessa ammissione del regista l'opera è
il frutto di un'idea per un corto, solo successivamente ampliata per la
realizzazione di un lungometraggio. Purtroppo questo cambio di direzione è
stato risolto inserendo una moltitudine di scene di transizione che provocano
un calo di tensione narrativa che finisce con l'inficiare il risultato finale.
La chiave di lettura
Fade, parola inglese che trova nell'italiana
"dissolvenza" il suo corrispettivo, è insieme dichiarazione d'amore
per il cinema nonché chiave di lettura per l'intera opera. Bertoncini ha
dichiarato che questa è la "storia di un gruppo di ragazzi, di quello che
erano, sono e sperano di diventare, mentre il passato e il presente si
dissolvono ed il presente è presto sostituito da un futuro che prende nuova
forma, proprio come l'immagine di una fotografia." Belle parole, che non
trovano però riscontro nell'opera se non nel ricorso all'espediente
tecnico della dissolvenza come metodo di transizione tra le scene.
Il
montaggio
Il montaggio è tutto. Qui si salta, in modo fin troppo evidente, da
un evento ad un altro, da una stagione astronomica e meteorologica ad un'altra
senza una ragionata consequenzialità tra le scene che giustifica i cambiamenti.
La colonna sonora
Uso massiccio, e per questo fastidioso, di motivi di
sottofondo e di musiche anglo-americane che spesso finiscono col soffocare le
immagini. Musiche potenzialmente suggestive, non c'è che dire, ma che faticano
ad inquadrare un periodo (quello degli esami di maturità) che invece ha spesso
come colonna sonora canzoni sì banali e commerciali perché proposte a
ripetizione da radio e tv ma sicuramente capaci, proprio per il fatto di essere
conosciute ai più, di dare quel tocco generazionale che ad un lungometraggio di
questo tipo non avrebbe guastato.
La tecnica registica
Un banco di prova.
Non poteva essere altrimenti e non potevamo chiedere di più ad un attore
ventenne che si cimenta per la prima volta in un lungometraggio. Ma se poi
pensiamo ad un altro giovane esordio come quello di Marco Righi con I giorni
della vendemmia (2010), opera dalla sobria e sapiente maestria tecnica girata in
altrettanta penuria di mezzi, ecco allora che dobbiamo dire che questo
lungometraggio si rivela tecnicamente acerbo, disomogeneo. Si passa da
insistite inquadrature dal basso a carrellate improvvise, da primi piani poco
evocativi a lunghi e stucchevoli ralenti. Bertoncini ha la frenesia di mettere
in pratica un ampio spettro di soluzioni registiche che, insieme, tradiscono
un'impulsività poco produttiva. Non mancano i calchi da altre pellicole, si
pensi alla riduzione e successiva apertura del formato dell'immagine così come
accade in Mommy di Xavier Dolan (film
guarda caso recentemente arrivato in Italia), o alle sperimentazioni poco
ragionate come gli improvvisi passaggi dal colore al bianco e nero per
sottolineare i momenti di sconforto del protagonista.
La recitazione
Quasi
tutti attori giovani provenienti dal mondo del teatro, credibili ma troppo
spesso visibilmente intimiditi dalla macchina da presa. I cammei di attori
navigati, come quello di Bob Messini, sono barlumi di cinema attenuati però da
battute poco consone ai relativi personaggi.
Le location
Rischio di essere
troppo di parte perché buona parte dell'opera si svolge nelle strade in cui
sono cresciuto e in cui tutt'ora abito. Ciò che mi sento di dire è che non si
può far partire il protagonista per un viaggio in solitaria e poi farlo
camminare in mezzo ai campi della nostra provincia.
All'uscita ho restituito
il biglietto con una valutazione di tre "stelline" su cinque. Una
media tra il risultato finale, acerbo e impulsivo, sia a livello di scrittura
che a livello di tecnica registica, e la passione, la voglia di fare. Voglio
però chiudere questa recensione aggiungendo che da un regista ventenne mi sarei
aspettato molto di più sotto il punto di vista del coraggio autoriale, se non a
livello tecnico almeno a livello contenutistico. Detto in altri termini, sono
rimasto sorpreso dal non aver trovato traccia di riferimenti culturali forti, impliciti
o espliciti che fossero.