martedì 29 gennaio 2013

Nuova recensione Cineland. Lincoln di S. Spielberg

Lincoln
di Steven Spielberg
con Daniel Day-Lewis, Tommy Lee Jones, Sally Field, Joseph Gordon-Levitt
Biografico, 150 min., USA, 2012

L’inizio del film ci ha fatto temere il peggio. Guerra Civile con soldati che recitano a memoria i discorsi del Presidente presente in penombra e successiva scena all’interno della Casa Bianca con Lincoln che si accoccola di fianco al figlio minore dormiente. Poi, fortunatamente, il pericolo del solito-film-di-propaganda-USA-melenso-e-prevedibile viene sfatato. L’ottima sceneggiatura di Tony Kushner (è vero che il Presidente sognava spesso una nave e che intratteneva gli interlocutori con aneddoti; è vero che Thadeus Stevens chiamava “rettili” gli avversari politici) si concentra infatti sul pragmatismo politico del 16° Presidente degli Stati Uniti d’America (più ottimo avvocato che idealista) e sul percorso d’approvazione del XIII emendamento (quello dell’abolizione della schiavitù) attraverso promesse di incarichi e, più in generale, corruzioni. Sullo sfondo il dramma famigliare della perdita di un figlio in guerra, l’intenzione del primogenito di arruolarsi, le crisi di una first lady che mal sopporta la Casa Bianca, i cerimoniali e il peso delle continue responsabilità.

Da una parte abbiamo una sceneggiatura completa, quasi perfetta, fatta di dialoghi misurati e articolati che ben ricostruiscono il clima socio-culturale del tempo nonché l’estrema complessità di una rivoluzione di portata storica; dall’altra, invece, una regia giustamente accademica che però tende a sfruttare artifici retorici (v. scene di cui sopra) più azzeccati per una figura ascetica che per un politico sì lungimirante ma cinico e, è il caso di dirlo, baro. Ne nasce dunque una frizione che non ci permette di gridare al capolavoro, ma va comunque rilevato come il film abbia il grande pregio di insegnarci che cosa sia realmente la politica. Da sottolineare, infine, la prova maiuscola di Tommy Lee Jones, culminante in una scena di mirabile delicatezza.

P.s. Come con ogni grande film, durante la visione si schiudono in noi numerosi interrogativi, e qualche importante considerazione. In questo caso sulla situazione italiana del 2013, politica e culturale. Grazie al cinema, che come sappiamo crea consenso e senso di appartenenza, sappiamo praticamente tutto sulla storia politica americana (da Lincoln a Nixon passando per JFK e Roosvelt) mentre non sappiamo quasi nulla su Mazzini, Cavour, De Gasperi. Sarà per la nostra mancanza di abitudine al ricordo di un Politico vero che gran parte delle persone in sala ha dormito per quasi tutta la durata della pellicola?

Voto: 4 su 5

(Film visionato il 26 gennaio 2013)

giovedì 24 gennaio 2013

Nuova recensione Cineland. Pazze di me di F. Brizzi

Pazze di me
di Fausto Brizzi
con Francesco Mandelli, Loretta Goggi, Chiara Francini, Valeria Bilello
Commedia, 93 min., Italia, 2013

«E adesso, sono cazzi tuoi».
Questa la frase che apre e chiude Pazze di me, il nuovo film di Fausto Brizzi in uscita proprio in questi giorni nelle sale italiane. Ed è questa la frase che ha segnato l’esistenza del giovane Andrea (il Solito Idiota Francesco Mandelli) sin da quando, bambino, se la sente rivolgere come un oscuro presagio dal padre (Flavio Insinna) scoperto nel bel mezzo della notte a scappare di casa. Non tarderà molto a scoprirne il significato Andrea, alle prese con una famiglia di sette donne impossibili: la madre (Loretta Goggi), soprannominata Sergente Hartman per il suo carattere burbero; la nonna, una ex professoressa di matematica ormai totalmente rimbambita; la badante Bogdana che, pretende di eseguire esclusivamente compiti consoni a una «dama di compagnia»; e infine le tre sorelle Beatrice, Veronica e Federica, che incarnano rispettivamente il prototipo dell’egocentrica perfettina, della femminista convinta, della svampita sbadata. Corona questo esercito di sole donne il cane, un bulldog femmina, manco a dirlo, arrivato in famiglia per puro caso.

Al centro di questo uragano di estrogeni si trova il povero Andrea che, vittima delle varie disavventure create dalle sue donne, cercherà di fare sopravvivere l’effimera storia d’amore con la dolce Giulia (Valeria Bilello), alla quale racconterà addirittura di essere orfano. E così, tra tradimenti e relazioni adultere, bagni in mare e convegni motivazionali stile “l’utero è mio e lo gestisco io", la vicenda si dipana senza troppe complicazioni, con battute simpatiche ma mai memorabili e alcune scene capaci di strappare il sorriso, come quella in cui Beatrice, reduce da abbandono sull’altare e conseguente attacco depressivo, canta Non son degno di te in una fontanella con una bottiglia d’acqua a mo’ di microfono, accompagnata da un gruppo di violinisti. Infine, l’emancipazione del protagonista resa possibile dall’obiettivo, riuscito, di redimere le sue donne.

Ne esce un film leggero, nel complesso gradevole, che ha il pregio di indurre lo spettatore a rilassarsi e scollegare il cervello, a patto che si assuma la benedetta logica del patto finzionale capace di rendere verosimili anche fatti impossibili a credersi. Solo così si può accettare il ruolo da latin lover cucito addosso a un Mandelli sottotono, e solo così si può passar sopra la stereotipizzazione dell’universo femminile, popolato da personaggi tanto insopportabili quanto acidi, nevrotici ed eccessivi nei loro difetti e debolezze. E’ certamente questo il maggior limite della sceneggiatura scritta a sei mani da Fausto Brizzi con l’inseparabile Marco Martani e Federica Bosco, ovvero aver creato un immaginario di macchiette senz’anima, che come burattini agiscono senza motivazioni profonde e senza legami con la realtà.

Voto: 2 su 5

(Film visionato il 21 gennaio 2013)

lunedì 21 gennaio 2013

Nuova recensione cineland. Django Unchained di Q. Tarantino

Django Unchained
di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo Di Caprio, Samuel L. Jackson
Western, 165 min., USA, 2012

Cosa si aspetta il pubblico da Tarantino? Semplice: dialoghi strampalati, scene pulp, mexican standoff, tonnellate di citazioni filmiche, un suo cameo. Questo è il comune denominatore dei suoi ultimi film (Kill Bill e Inglorious Basterds), questo è praticamente il canovaccio di Django Unchained nonché suo grande limite (prima parte appagante, seconda che sfiora il tedioso).

Certo, dopo aver riempito di significato l’aggettivo “tarantiniano”, il regista si sta meritatamente divertendo come un bambino al luna park che non deve pagare per salire sulle giostre o mangiare zucchero filato. Giusta ricompensa al merito di aver rivoluzionato il linguaggio del cinema con Le iene (1992) e Pulp Fiction (1994). Ma da un regista che ora dispone di denaro e capacità ci si aspetterebbe un po’ più di coraggio nel valicare la propria cifra stilistica sperimentando nuove strade. Un “passo indietro” su tutti: Tarantino ha contribuito ad estetizzare la violenza tramite immagini di violenza assurda, fine a sé stessa. Ora, che bisogno c’è di rassicurare il pubblico giustificando le esplosioni di violenza attraverso le contrapposizioni nazisti/ebrei e schiavisti/uomini di colore? Paura di inimicarsi la folla adorante? (A proposito: quanti finti tarantiniani in sala, che credono che conoscere un regista “figo” voglia dire conoscere la storia del Cinema!).

È bene ripeterlo: chi ha smesso di essere coraggioso non è più così interessante.

Voto: 3 ½ su 5

(Film visionato il 19 gennaio 2013)

martedì 15 gennaio 2013

Novità da Blockbuster. Ted, Sister, Detachment - Il distacco

Sister
di Ursula Meier
con Léa Seydoux, Kacey Mottet Klein, Martin Compston
Drammatico, 100 min., Francia, Svizzera, 2012
*** ½

Ursula Meier ha realizzato un’opera che ha il grande pregio di toccare alcune problematiche sociali altrimenti dimenticate dal contemporaneo cinema dei sequel e dei protagonisti botulinati. L’opera, fortemente dardenniana, sarebbe un capolavoro se non fosse che, a differenza dei film dei due fratelli belgi, presenta nella narrazione qualche rapporto causa-effetto che difetta d’intrinseca continuità logica.

Detachment – Il distacco
di Tony Kaye
con Christina Hendricks, Adrien Brody, James Caan, Lucy Liu
Drammatico, 97 min., Usa, 2011
***

Eccessivo. Per questo ci piace. C’è chi potrebbe obiettare (i più) che non si possono concentrare così tante problematiche in un unico film. Noi invece pensiamo che l’operazione, pacchiana e poetica allo stesso tempo, palesi una verità scomoda (in ogni fase della nostra vita, per resistere, dobbiamo cercare di esercitare il distacco) con la quale non possiamo non fare i conti.


Ted
di Set MacFarlane
con Mark Wahlberg, Mila Kunis, Joel McHale, Giovanni Ribisi
Commedia, 106 min., Usa, 2012
* ½  

Deludente. Dall’autore dei Griffin ci aspettavamo molto ma molto di più, e invece… ne è uscita una storia scialba, scontata, insipida, con solo un paio di momenti esilaranti che, guarda caso, sono assolutamente indipendenti rispetto all’impianto narrativo e ci ricordano che le gag concepite da MacFarlane si adattano molto di più alla formula della puntata da serie animata più che ad un lungometraggio. Come se non bastasse, la scelta degli attori meriterebbe seriamente una denuncia con, su tutti, un Wahlberg ignobile e inspiegabilmente pompato.

mercoledì 9 gennaio 2013

Remember Us: Qualcosa di travolgente, Il gattopardo, Stanley Kubrick - A Life in Pictures

Il gattopardo
di Luchino Visconti
con Burt Lancaster, Paolo Stoppa, Alain Delon, Claudia Cardinale
Drammatico, 187 min., italia, Francia, 1963
*****

Inutile dirlo: capolavoro di Luchino Visconti. Non tanto (o, meglio, non solo) per attori e recitazione, quanto per la ricostruzione di un passaggio epocale tratteggiato con ironia, giusto cinismo e una stupefacente galleria d’immagini che ricordano l’operazione che Kubrick farà dodici anni dopo con Barry Lyndon (ovvero immagini costruite ispirandosi ai quadri dell’epoca).


Qualcosa di travolgente
di Jonathan Demme
con Melanie Griffith, Jeff Daniels, Ray Liotta, Margaret Colin
Commedia, 113 min., Usa, 1986
*** ½

Storia d’amore on the road strampalata e sopra le righe che inizia come una commedia e finisce come un thriller. Melanie Griffith al suo massimo e aria di anni Ottanta che permea ogni fotogramma. Film che, insieme a Blue Velvet, è stato indicato da Bret Easton Ellis come il migliore degli anni Ottanta.


Stanley Kubrick – A life in pictures
di Jan Harlan
Documentario, 142 min., Usa, 2001
** ½

Documentario sulla vita e sulle opere di uno dei maestri del cinema. Andamento cronologico lineare: si parte dagli esordi del giovane Kubrick come fotografo per finire con Eyes Wide Shut e la morte. Ci aspettavamo di meglio (soprattutto più scene del regista al lavoro), ma come infarinatura è meglio di niente.

lunedì 7 gennaio 2013

Nuova recensione Cineland. The Master di P.T. Anderson

The Master
di Paul Thomas Anderson
con Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams
Drammatico, 137 min., Usa, 2012

Se The Tree of Life di Malick è stato da molti accostato a 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, noi possiamo ricondurre l’ultimo film di P.T. Anderson ad Arancia Meccanica (1971). Già il suo protagonista, Freddie Quell, sembra un alter ego di Alex DeLarge. Violento, disadattato, ubriaco di un intruglio da lui prodotto che sembra una versione più ruvida e meno futuristica del lattepiù kubrickiano, Freddie ha la personalità perfetta per essere manipolato da qualcuno. Per A. Burgess, autore del libro A Clockwork Orange, questo qualcuno poteva essere Dio, il Diavolo o lo Stato onnipotente. P.T. Andreson sceglie la dimensione religiosa, rappresentata da una setta nata nel dopoguerra (siamo nel 1950-‘51) pronta a sfruttare la debolezza e lo spaesamento sociale del momento (problema dei reduci e Guerra Fredda su tutti) per plasmare nuovi adepti grazie a teorie che mescolano psicoanalisi, religiosità e (fanta)scienza.

Il grande burattinaio è il capo spirituale Lancaster Dodd (interpretato da un egregio P.S. Hoffman), alter ego del fondatore di Scientology L. Ron Hubbard, che prende Freddie sotto la sua ala protettiva al fine di dimostrare a sé e agli altri che le sue teorie (più frutto d’improvvisazione che di ricerca) possano dare sollievo anche ai casi più disperati. Solo e bisognoso di affetto, Freddie (superbamente interpretato da J. Phoenix) diventa la cavia perfetta per testare nuovi “trattamenti”, sedute pseudo-psicoanalitiche condotte con domande inventate sul momento che fanno parlare il “paziente” facendolo sentire semplicemente meno solo. (E qui scatta un altro parallelismo con Arancia Meccanica: proprio come Alex durante il Trattamento Ludovico, a Freddie è proibito chiudere gli occhi).

P.T. Anderson scrive e dirige una pellicola che si distingue per la perfezione delle immagini ma non riesce a rendere la storia memorabile. Certo, la maestria tecnica è da considerare come un valore aggiunto, tuttavia essa risulta molto meno funzionale alla narrazione rispetto a quanto fatto da Malick in The Tree of Life. Per il resto bisogna specificare che, pur con tutti i suoi limiti, la storia non è così “irrilevante” come molti critici hanno scritto. Semmai il problema è il contrario: il regista affronta troppi temi importanti (le conseguenze della guerra, la religione, la società americana del dopoguerra, la Guerra Fredda, l’amore, la pazzia, il tema del doppio) in una volta sola, rimanendo inevitabilmente in superficie e risolvendo il tutto (ovviamente non vi svelo il finale) in modo un po’ banalotto.

Voto: 4 su 5

(Film visionato il 5 gennaio 2013)
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