domenica 26 ottobre 2014

Novità da Blockbuster - Prisoners di D. Villenueve, 300 - L'alba di un impero di N. Murro e Il cacciatore di donne di S. Walker

Prisoners 
di Denis Villeneuve 
con Hugh Jackman, Jake Gyllenhall, Maria Bello 
Thriller, 153 min., USA, 2013 
*** 

Avevamo apprezzato Villeneuve con la Donna che canta (2010) e non possiamo certo dire che anche con quest’opera non abbia colpito nel segno. Non tanto per la storia, un po’ scontata soprattutto a fronte della risoluzione finale, quanto per l’atmosfera, l’ambientazione e la recitazione dei protagonisti (Gyllenhall su tutti). Se poi si considera che il racconto ruota attorno al fulcro disperazione/vendetta, ecco allora che possiamo affermare di trovarci davanti ad uno dei migliori thriller della scorsa stagione cinematografica.

300 – L’alba di un impero (300: Rise of an Empire) 
di Noam Murro 
con Sullivan Stapleton, Eva Green, Rodrigo Santoro, Callan Mulvey 
Epico, 102 min., USA, 2014 
** 

Blockbusterone da divano, McDonald’s e rutto libero. Violenza, ammazzamenti, machismi ed effetti speciali a profusione. Il tutto a scapito della veridicità storica. Regge il film una sorprendente Eva Green. Per svagarsi.

Il cacciatore di donne (The Frozen Ground) 
di Scott Walker 
con Nicolas Cage, John Cusack, Vanessa Hudgens, Dean Norris 
Thriller, 105 min., USA, 2013 
* ½ 

Ogni tanto bisogna pur far lavorare i “vecchietti” di Hollywood! Qui abbiamo Cage e Cusack, incapaci di portare valore aggiunto al film anche per colpa di una scarsissima caratterizzazione dei loro personaggi (principali). L’opera parla di una storia vera (quella del “perfetto” padre di famiglia e serial-killer Robert Hansen, che cacciava come animali nelle foreste dell’Alaska le donne che aveva rapito), ma ha la colpa di trasporla semplicisticamente in immagini attraverso una mera giustapposizione di scene.

mercoledì 22 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland - I due volti di gennaio (The Two Faces of January) di H. Amini



I due volti di gennaio (The Two Faces of January) 
di Hossein Amini 
con Viggo Mortensen, Oscar Isaac, Kirsten Dunst 
Thriller, 96 min., USA, UK, Francia 2014 

Atene, 1962. Rydal è un giovane americano che ha deciso di allontanarsi dalla sua famiglia d’origine per vivere ad Atene. Sbarca il lunario facendo la guida turistica e, senza troppe remore, truffa chi a lui si affida giocando sul cambio tra dollari e dracme. Un giorno il giovane si imbatte in una facoltosa coppia di turisti statunitensi: lei (Dunst) gli fa girare la testa, lui (Mortensen) gli ricorda suo padre. Farà loro da guida, poi verrà risucchiato in un vortice che rischierà di rovinargli la vita per sempre. 

Dallo sceneggiatore di Drive (N.W. Refn, 2011), passato con questo film anche dietro alla macchina da presa, era lecito aspettarsi di più. L’ambientazione (Atene e le isole greche), la recitazione (misurata da parte di tutti gli attori) e la narrazione (la storia è tratta dall’omonimo romanzo di Patricia Highsmith) costituiscono sì una buona amalgama, ma tutta sbilanciata sul versante del classico. Per non rischiare Amini sceglie una regia attenta e trattenuta, fino quasi a tradire la paura di commettere passi falsi

Ne esce un prodotto ben girato, ben recitato, ma troppo poco sincero: il fatto che la storia si sviluppi negli anni sessanta e non nella contemporaneità è già, per uno sceneggiatore, una dichiarazione di resa. Se poi si considerano il finale obsoleto, il triangolo amoroso che (ovviamente) porta guai e il rapporto padre/figlio che lega i due protagonisti, questo avvalora ancora di più la lettura di un’opera ingessata nel paradosso di un’artificiosità derivante dal fatto di non aver voluto introdurre alcun elemento di innovazione registica e/o contenutistica. 

Prevedibile, patinato, sorpassato e senza quella raffinatezza e quella voglia di osare che hanno fatto grandi altri registi del genere (un nome su tutti, ma evito di farlo perché non c’è una recensione su quest’opera che non lo abbia chiamato in causa). 

Voto: 2 ½ su 5 

(Film visionato sabato 18 ottobre 2014)

domenica 19 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Il regno d'inverno - Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan



Il regno d’inverno – Winter Sleep 
di Nuri Bilge Ceylan 
con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekan 
Drammatico, 196 min., Turchia, Francia, Germania, 2014 

Turchia. Nell’Hotel Otello, struttura che come le abitazioni limitrofe è stata scavata nella roccia di una remota regione dell’Anatolia, vive con moglie, sorella e domestici Aydin, il proprietario, che, arrivata la stagione invernale, passa sempre più tempo nel suo studio per poter finalmente iniziare un trattato sul teatro turco e scrivere articoli di critica di costume per un gazzettino locale. La sua stanza non è altro che un rifugio dal suo personale inverno, quella stagione della vita che lo obbliga a tirare le somme della sua esistenza. Lo aiuteranno in questo, a loro modo, la sorella, la moglie e la famiglia del paese a cui aveva dato, per interposta persona, lo sfratto. 

Nuri Bilge Ceylan scrive con la moglie la storia di una ricerca: la ricerca del senso dell’esistenza da parte di un “uomo senza qualità”, istruito, educato, ma ancora non abbastanza maturo per comprenderne fino in fondo il meccanismo. Per questo indispone, risultando a chi gli sta intorno irritante, supponente, incapace di far fronte alle proprie responsabilità (in questo ci ricorda un po’ l’Oblomov di Gončarov). Obiettivo ultimo del regista/sceneggiatore quello di mostrarci il suo percorso di crescita, costruito sul confronto con tre principali soggetti: la sorella, la moglie, il popolo. L’opera funziona soprattutto quando si concentra su quest’ultimo rapporto che, in ultima analisi, è quello che si dimostra più metaforico e interessante (anche se sulla società turca ne sappiamo poco più di prima). Non è invece ben chiara la scelta di affidare buona parte della caratterizzazione del protagonista ai rapporti che lo legano alle due figure femminili, dato che entrambe improvvisamente si eclissano, quasi senza motivo e senza valore aggiunto, dopo essere state protagoniste di lunghissimi e lapalissiani dialoghi (tutti concordi nel rimando a Čhecov). 

Siamo di fronte ad un’opera sì egregiamente diretta e recitata, ma nettamente bicefala (è uno di quei casi dove la durata complessiva non è giustificata) e ad ampi tratti ampollosa, tematicamente e dialogicamente ripetitiva, in bilico tra cinema e letteratura, film e romanzo. Per dirla con le parole di Robert Bresson: «Impossibilità di esprimere fortemente qualcosa con i mezzi congiunti di due arti. O è tutta una o è tutta l’altra». Palma d’oro a Cannes 2014. 

Voto: 3 su 5 

(Film visionato il 14 ottobre 2014)

mercoledì 15 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Anime nere di F. Munzi


Anime nere 
di Francesco Munzi 
con Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Fabrizio Ferracane, Anna Ferruzzo 
Thriller, 103 min., Italia, Francia, 2014 

Tre fratelli, tre volti della ‘ndrangheta. Luciano, il cuore, vive ad Africo, paese dell’Aspromonte. È un uomo umile, di sani principi. Dedica la vita all’allevamento e alla cura della terra. Ha un figlio, Leo, che subisce il fascino della malavita e risolve una questione d’onore demolendo la vetrata di un negozio con un fucile a pallettoni. Nel mezzo di quella stessa notte scappa a Milano, dai fratelli di suo padre. Qui trova lo zio Luigi, il braccio, che si divide tra l’Italia del nord ed il nord Europa per contrattare con i cartelli sudamericani il traffico e il prezzo della droga nel continente. Coordina gli affari l’altro zio, Rocco, la mente, che cela la sua vera identità dietro un paio di occhiali da ragioniere, una famiglia modello, una casa più che decorosa. Venuti a conoscenza della bravata di Leo e degli effetti da essa generati, Luigi e Rocco faranno ritorno ad Africo con il nipote per cercare di mettere a posto le cose. La situazione degenererà. 

Benché ci siano stati critici cinematografici che hanno visto nella compresenza di tre fratelli dalle personalità così nette e distinte un’ingenuità che attenua l’incisività dell’opera, si deve comunque rilevare che una caratterizzazione netta dei personaggi li rende credibili e per questo funzionali a quel che, in fin dei conti, non può e non deve essere altro che considerato come il racconto di una storia dai tratti tragici. Certo, in questo modo il film non raggiunge quelle vette d’introspezione che possono essere ravvisate in altre opere sulla mafia (da recuperare, in questo senso, Fratelli di Abel Ferrara). Ma accettando per un momento che un film italiano possa avere caratteristiche da thriller (dalle molteplici ambientazioni, anche in esterni!), e non necessariamente da “dramma da camera”, ecco allora che lo spettatore si trova di fronte ad una storia finalmente “maledetta”, ovvero fatta di faide, vendette, sangue. Il tutto reso con realismo spietato e, quel che più ci interessa, ottima tecnica

Forse, dato anche il recente successo della serie televisiva Gomorra, il cinema italiano ha ritrovato un genere davvero poco praticato. L’auspicio è che il filone non si esaurisca e che i temi di mafia fungano solo da trampolino di lancio per un’evoluzione del genere e del cinema italiano tutto. 

Voto: 4 su 5

(Film visionato il 27 settembre 2014)

domenica 12 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland - Sin City Una Donna Per Cui Uccidere di F. Miller e R. Rodriguez


Sin City – Una donna per cui uccidere 
di Frank Miller e Robert Rodriguez 
con Mickey Rourke, Jessica Alba, Josh Brolin, Joseph Gordon-Levitt, 
Eva Green, Rosario Dawson
Thriller/Noir, 102 min., USA, 2014 

Difficile ricordare il primo capitolo, risalente a ben nove anni fa, per poter fare un efficace confronto con questa seconda produzione del marchio Sin City. Lo siamo andati a vedere in 2D, avendo letto dell’inutilità del 3D, e dopo una settimana ce ne siamo quasi già scordati. 
Quasi, perché un aspetto ci è rimasto e, paradosso dei paradossi per un film, si tratta di una peculiarità molto più letteraria che cinematografica: i flussi di coscienza dei personaggi (stream of consciousness ci avrebbe detto la nostra professoressa d’inglese), più pulp di qualsiasi manifestazione di violenza che innerva tutta l’opera, maledettamente più interessanti di qualsiasi altro aspetto serio o faceto che sia (si va dalle forme di Green e Alba alle folli corse in auto, passando dalle torture ai sanguinosi duelli). 
I pensieri dei protagonisti spiccano così sia sulla messa in scena (intrigante ma fin troppo “disegnata”), sia sui dialoghi (telefonati), sia sulla comunque buona prova recitativa dei vari Rourke, Brolin, Gordon-Levitt. Avremmo potuto chiudere gli occhi per lasciarci trasportare da frasi degne di certe pagine di Burroughs e Chandler, per immaginarci mondi ben più interessanti di quelli concepiti dalla coppia Miller-Rodriguez. 

Voto: 2 su 5 

(Film visionato il 6 ottobre 2014)

domenica 5 ottobre 2014

Nuova recensione Cineland. Una promessa (A Promise) di P. Leconte


Una promessa 
di Patrice Leconte 
con Rebecca Hall, Alan Rickman, Richard Madden 
Sentimentale, 98 min., Francia, Belgio, 2014 

Germania, 1912. Friedrich (Madden), orfano di umilissime origini, viene assunto da un’acciaieria. Il proprietario (Rickman), colpito dalle sue capacità, lo promuove a segretario personale fino ad “adottarlo” nella propria magione. La convivenza gli comporta una crescente familiarità con il figlio e, soprattutto, la moglie dell’industriale, Charlotte (Hall). I due cercheranno in tutti i modi di trattenere i loro sentimenti. Proprio quando potrebbero darne libero sfogo ecco che la guerra e nuovi impegni lavorativi del giovane ne separeranno le esistenze. È proprio in questo momento che i due cercheranno di rendere inscindibili i loro destini, con una promessa. 

Tempi dilatati, estasi platoniche, promesse da mantenere. Leconte si inerpica nel difficilissimo sentiero della trasposizione cinematografica di un’opera letteraria (Viaggio nel passato, Stefan Zweig) tutta incentrata su un sentimento amoroso (semplificando, noi spettatori dovremmo vivere empaticamente le vicissitudini sentimentali dei due protagonisti). Purtroppo, nonostante la buona tecnica utilizzata, la regia è fin troppo didascalica e le imprecisioni ragguardevoli. Approssimativa è la ricostruzione di un’epoca, affidata alle ripetitive scene in interni, come assolutamente ingiustificata è la scelta di attori e ambientazioni in esterno evidentemente anglosassoni a dispetto di una storia totalmente ambientata in Germania (discrepanza resa ancora più evidente se si vede il film in lingua originale, ovvero in inglese!). L’obiezione che si potrebbe muovere è che l’opera si vuole accontentare di mettere al centro di tutto una storia d’amore, scevra da qualsiasi tipo di sovrastruttura storica e sociale. Tuttavia è proprio la tensione erotica che dovrebbe innervare la storia a fare sentire inesorabilmente la propria mancanza, vuoi per la recitazione “contemporanea” dei due attori protagonisti, vuoi per il patetismo di certe scene che sconfina nell’assurdo (v. la scena del pianoforte). Ne esce così un’opera tutto sommato gradevole, a condizione di considerarla come un superficiale feuilleton. Poteva invece essere l’occasione per realizzare una più profonda riflessione sui ruoli e le convenzioni sociali e sentimentali d’inizio Novecento. 

Voto: 2 su 5 

(Film visionato il 3 ottobre 2014)

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