Mommy
di
Xavier Dolan
con Anne Dorval, Steve-Olivier Pilon, Suzanne Clément
Drammatico,
140 min, Francia, Canada, 2014
Una madre single, non più giovane ma ancora
attraente (Diane, interpretata da Anne Dorval) si trova ad accudire il violento
e instabile figlio quindicenne (Steve, Steve-Olivier Pilon) pur di non farlo
finire in un ospedale psichiatrico. Cerca di aiutarla, tra mille difficoltà,
una vicina di casa balbuziente (Kyla, Suzanne Clément).
Xavier Dolan (classe 1989!) ha
realizzato un film che vive di eccessi e contrasti. Elementi che fanno la
fortuna dell’opera tradendo però, allo stesso tempo, tutta l’acerbità del
regista. Sin dall’inizio il primo aspetto del film che colpisce è l’ottima
recitazione, caratterizzata per tutti i personaggi da una continua alternanza
di quiete ed esplosioni incontrollate. Si pensi ai comportamenti di Steve (dolce
o violento), alle reazioni della madre Diane (paradigmatico lo straziante monologo
finale che si risolve in un disperato pianto) o ancora al travaglio interiore
della delicata vicina di casa Kyla.
Nelle prime scene si palesa anche il
principale elemento che innerva tutta la pellicola: la musica. La sua è una
presenza massiccia (si parlava d’eccessi), e sappiamo già come solo i grandi
successi del presente e del passato (in questo caso si va da Wonderwall degli Oasis a Born To Die di Lana del Rey, passando da
Vivo per lei di Andrea Bocelli e
Giorgia Todrani… che contrasti!) siano sufficienti a “rapire l’anima” dello
spettatore, incollarla alle immagini e rendere epica anche la scena più
insignificante. Non che questo voglia dire che ci siano scene mal realizzate. Anzi,
è proprio la maestria tecnica con la quale Dolan ha studiato ogni minima
inquadratura della sua opera che colpisce. Già la scelta del formato dimostra
un’attenzione particolare a questo aspetto: la dimensione 1:1 (Mariarosa
Mancuso ha parlato di “formato Instagram”) accentua la solitudine dei singoli personaggi
nei primi piani pasoliniani o nei campi medi, per poi aprirsi nelle metaforiche
scene che restituiscono un’idea di massima speranza o spensieratezza.
Siamo indubitabilmente
di fronte a vette di sperimentalismo tecnico, di coraggio autoriale, che da
tempo non trovavamo sul grande schermo (ultimo esempio, a livello di
sperimentalismo tecnico “spinto”, l’uso delle lenti deformanti nel Faust di Sokurov, 2011). Ma ancora una
volta finiamo nel campo dei contrasti, dato che alla maestria tecnica non
corrisponde una storia che si possa dire allo stesso livello.
Dolan pecca
infatti d’inesperienza nel momento in cui decide di mettere in scena una
vicenda d’amore materno senza metterle dei freni, ovvero sfruttando troppo
spesso in maniera poco misurata situazioni e artifici narrativi che finiscono per
tradire una scarsa profondità di riflessione sul tema, per un risultato che
sembra ben più emotivo che ragionato. Per affinità tematiche possiamo citare,
come pietra del paragone, La luna di
Bernardo Bertolucci (1979). Nonostante questo, il film rimane pur sempre una ventata
d’aria fresca nel panorama cinematografico contemporaneo e il secondo plot point, ovvero la proiezione materna
del possibile futuro del figlio in finale di film, è un pezzo di grandissimo
cinema che ci accompagnerà per lungo tempo.
Voto: 4 su 5
(Film visionato il 12
dicembre 2014)
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