martedì 25 marzo 2014

Nuova recensione Cineland. Lei (Her) di S. Jonze


Lei (Her
di Spike Jonze 
con Joaquin Phoenix, Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde, Chris Pratt 
Drammatico, 126 min., USA, 2013 

Theodore, che si mantiene scrivendo lettere d’amore conto terzi, non riesce a dimenticare l’ex moglie e vive alla giornata con pochi amici e molte occupazioni digitali. La sua vita sentimentale sembra giungere ad una svolta quando installa sul computer di casa un nuovo sistema operativo che comincia a relazionarsi con lui in maniera simbiotica. 

Sin dagli esordi Jonze ci aveva abituato, più che alla maestria tecnica, alle trame coraggiose, futuristiche e spiazzanti. Essere John Malkovich (1999) aveva chiuso il XX secolo presentando un personaggio che attraverso un passaggio segreto riusciva ad entrare nella mente dell’attore che dà il titolo al film. Il ladro di orchidee (2002) ci aveva spiazzati presentandoci una storia che si sviluppava step-by-step grazie allo sceneggiatore/protagonista (anzi, gli sceneggiatori/protagonisti!). 

Con quest’ultimo film il regista approda invece ad un risultato che valorizza più la forma che il contenuto. Le inquadrature si fanno ricercate e i movimenti di macchina fluidi, la fotografia punta alla nitidezza e i colori si stagliano puliti e pieni, le ambientazioni si fanno glamour. Una maggiore attenzione all’aspetto tecnico cui segue una storia più interessante nelle attese che non negli effettivi sviluppi. Già la scelta di ambientare il film in un prossimo futuro (non poi così diverso dal presente) si rivela un espediente fin troppo facile per giustificare situazioni altrimenti inverosimili. Come quella attorno alla quale ruota tutta l’opera: il protagonista si rapporta sempre più intimamente con un sistema operativo dalla voce femminile (a pensarci bene, un po’ come quando si setta il TomTom) fino a presentare quest’ultimo agli amici come fidanzata (e senza neanche provocare critiche o risolini). Da questo rapporto prende le mosse la principale domanda cui Jonze cerca di dare risposta: come può evolvere la vita di un uomo che costruisce un rapporto esclusivo con la sua macchina, inevitabilmente plasmata a propria immagine e somiglianza? 

La riflessione che ne consegue, e che coincide con lo svolgimento del film, è una sorta di monito nei confronti della società contemporanea, che preferisce sempre più rifugiarsi e isolarsi negli ultimi ritrovati tecnici invece di mettersi in gioco nel campo dei sentimenti. Una constatazione che, a fronte di due ore di film, risulta essere un po’ troppo striminzita, soprattutto se si aggiunge che il finale si può intuire già a metà film e che la materia è già stata ampiamente trattata in Blade Runner (Ridley Scott, 1982). In ultima analisi, ci rendiamo conto che l’opera rimane in piedi solo grazie a due fattori: la facilità di scrittura di Jonze, bravo nel raccontare l’evoluzione interiore del suo protagonista, nonché l’ennesima eccellente prova recitativa di Joaquin Phoenix

Voto: 3½ su 5 

(Film visionato il 18 marzo 2014)

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