di Rodrigo Còrtes con Ryan Reynolds.
Sistema solare. Terra. Medio Oriente. Iraq. Luogo imprecisato. Deserto. Sotto la sabbia una bara. Nella bara un uomo, Paul Conroy (interpretato da Ryan Reynolds). Egli dispone di: uno zippo, un BlackBerry, una fiaschetta di whisky e un pennarello. L'aria scarseggia e Paul, che non ricorda perchè è finito in quella situazione, comincia la sua personale lotta per la sopravvivenza.
Una storia, una persona e pochi oggetti sono sufficienti per tenere incollato lo spettatore allo schermo per tutta la durata del film. Senza un attimo di sosta. Senza mai - finendo inevitabilmente con l'identificarsi nello sventurato - riprendere fiato.
Per chi vuole trovare un significato al di là dell'evento rappresentato, si può osservare che l'opera spinge a porsi alcuni interrogativi sulla guerra, come: Chi ha visto la propria casa cadere sotto i colpi del nemico ha diritto a sottoporre a tortura colui che rappresenta l'invasore, qualunque sia il suo ruolo nella guerra? In questa, esistono figure neutrali? È giusto pagare i riscatti per liberare gli ostaggi?
L'aspetto più interessante di questo film riguarda proprio la condizione di questi ultimi.
Il protagonista maledice la propria sorte non solo perchè rischia di perdere la vita, ma anche perchè si accorge di non avere più un'identità (non a caso Conroy viene associato a tale Mark White, nome comune che rimanda al nostro Bianchi e che quindi veicola universalità). Della sua vita, della sua famiglia, della sua occupazione e dei suoi progetti non interessa né a coloro che lo hanno imprigionato né a coloro che dicono di essersi messi in moto per liberarlo. L'ostaggio è il mezzo per raggiungere un fine: riscatto per i rapitori; gloria per i liberatori.
Tutti gli ostaggi sono uguali. Il loro urlo è solo un "white noise".
Voto: 4/5
(Film visionato il 20/10/2010)
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