sabato 20 novembre 2010

Hamlet - Lenz Rifrazioni


Hamlet, un'esperienza sensibile
Viaggio dentro le stanze amletiche di Lenz Rifrazioni

San Secondo Parmense. Rocca dei Rossi. Ai piedi della scalinata che dal loggiato porta alle stanze del primo piano tre attori stanno aspettando, seduti. I loro volti sono dipinti di bianco, i loro sguardi circospetti e sfuggenti. Attendono che venga fatto loro un cenno per dare inizio ad Hamlet, quarto spettacolo del Festival Natura Dèi Teatri ideato e organizzato da Lenz Rifrazioni. Improvvisamente una voce penetrante comincia ad uscire dalle casse audio che sono state poste ai lati dello scalone. Due dei tre attori si alzano, tenendosi per mano. L’uno trova la sicurezza nell’altro. Il terzo si accoda. Comincia la loro salita verso il piano superiore. (Flash di parole – strascicate, maltrattate – sono come pugni nello stomaco).

Prima stanza. Amleto e lo spirito del padre riflettono sul "marcio" di Danimarca. E sull’assassinio perpetrato dallo zio del primo ai danni del secondo. Il "marcio" shakespeariano diventa «merda», l’unione incestuosa tra Claudio e Gertrude «sperma». Le parole vengono ripetute in un vortice, sempre diverso, sempre più profondo. Gli attori devono fare attenzione a non diventarne le vittime. Per questo cercano una forma di tenero e silente conforto nello sguardo della regista. Seconda stanza. Amleto si avvicina allo zio e lo investe con parole piene di risentimento. «Mi devi amare», risponde urlando Re Claudio. Più forte, sempre più forte. Nel frattempo Gertrude, seduta alla destra del nuovo sposo, muove meccanicamente la mandibola su e giù. Il suo sguardo è fisso, disattento. Dopo lo scontro Amleto torna a sedersi. Terza stanza. Ofelia suona il piano. Polonio, il padre, l’ascolta distrattamente. La figlia si interrompe e lo prende per mano, elencando nel frattempo tutto ciò che questi le ha insegnato. Ma ora è lei che lo assiste. Senza di lei, lui sarebbe perso. Quarta stanza. Il "marcio" non imperversa più solo in Danimarca. Ora, dice Amleto, è anche «in Spagna, in Italia, in Grecia». Adieu. Quinta stanza. Subito dopo aver ucciso Polonio, Amleto riflette sulla sua condizione di peccatore non redento immedesimandosi col crocifisso Barabba: «Siamo schiavi perenni. Dolore e pianto. Tutto per niente». Sesta stanza. Re Claudio chiede perdono per le sue colpe intonando un’Ave Maria strascicata e mutila. Amleto gli giura vendetta: «Ti ucciderò. Quando sarai ubriaco o pazzo». Settima stanza. Amleto allontana Ofelia dal suo cuore: «Non sono mai stato il tuo moroso. Trovatene uno e sposati». A queste parole Ofelia si lascia andare ad un grido di dolore: «In convento non ci vado. Piuttosto muoio». E si allontana disperata. Ottava stanza. Ora Ofelia cammina nella pazzia, un corridoio illuminato a giorno. L’amore perduto le ispira un lamento ritmato, cantilenante, straziante: «Povera me. I miei occhi, i miei capelli, il mio cuore, il mio respiro, la mia pelle…». Nona stanza. Ofelia, ormai schiava della follia, è sdraiata su un divanetto. Qui ripercorre le tappe di Bambi, opera disneyana paradigma della perdita. Decima stanza. Amleto conta i morti. Vittime della sua pazzia o della loro? La circolarità del percorso ci riporta alla prima stanza. Vuota. Una voce fuori campo ci parla della sofferenza – «Ho avuto belle cose dalla mia vita. Ma la mia vita è stata anche dura. Il mio cuore è un po’ stanco» – e dell’odio – «Odio? Non ho mai odiato nessuno». Ultima stanza. Morte di Amleto. La fine è affidata al ritornello alienante «io qui, non qui», recitato da un Amleto, claudicante e appesantito, che si dirige al centro della sala.

È impossibile elencare tutta la gamma di sensazioni che questo spettacolo suscita. È incredibile pensare che la rielaborazione degli accadimenti dell’Amleto venga operata in tempo reale ed in modo così puntuale da attori ex lungo degenti psichici del manicomio di Colorno.

spettacolo visto il 3 novembre 2010
Rocca dei Rossi di San Secondo

1 commenti:

L.Z. ha detto...

Bellissimo spettacolo.
Un'esperienza unica.

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