domenica 5 dicembre 2010

Wet Opinions & Fundamentals - Gyula Noesy

Un momento di Wet Opinions
(Foto di Gabriella Gallo)

Wet Opinions & Fundamentals: delirio narcisistico

Le luci si abbassano. Gyula Noesy – al secolo Giulio Nesi, toscano residente a Berlino – attende impaziente che il pubblico occupi la tribuna allestita nella sala Est di Lenz Teatro per presentare Wet Opinions, uno degli ultimi appuntamenti della quindicesima edizione di Natura Dèi Teatri. È vestito bizzarramente. Ricorda quelle ragazzine giapponesi che si vogliono ribellare alla tradizione: canottiera rosa dalla quale spuntano i peli del petto villoso, gonna nera con inserti di pizzo, collant in tinta strappati, ginocchiere gialle con testa d’elefantino, sneakers Adidas nere. Con un cenno del capo invita il tecnico, che cura luci e video, a diminuire ulteriormente l’intensità dell’illuminazione. Poco dopo, sul muro di fronte al pubblico viene proiettato il volto registrato dello stesso Gyula. Intanto Gyula, quello reale, osserva di sottecchi il suo alter ego impugnando un microfono. Si mette dunque a saltellare come un pugile pronto allo scontro e, improvvisamente, inizia aurlare come un indemoniato contro quell’immagine virtuale. Quest’ultima gli risponde allo stesso modo. Le urla si rincorrono diventando un baccano indistinto. Silenzio. Ancora strilli e suoni gutturali. Schermata blu. Problema tecnico.
Dopo qualche attimo di smarrimento, Gyula riprende a latrare contro il suo avatar. Un filo di bava bianca gli penzola dal labbro inferiore. Stanco, si siede sulle ginocchia di due spettatori della prima fila. Quindi, si alza per carezzare la parete in corrispondenza del naso del volto proiettato. E ancora fa piccoli saltelli sul posto. Rutta. Aspetta che l’immagine cominci a urlare, e urla anch’egli. Nel farlo si flette sulle gambe. (Sono urla ancestrali o il suo è un tributo alla tradizione dell’alternative metal statunitense alla Slipknot?). Silenzio.
Dal microfono e dalla registrazione escono parole indistinte, incomprensibili. Le casse inondano l’ambiente di una mitragliata di suoni assordanti. Silenzio. Gyula si gira verso il pubblico, si piega sulle ginocchia e comincia a mettere a dura prova la sua gola, più precisamente le sue corde vocali. Suoni gutturali e alito fetido escono dalla bocca. «L’acqua. Bevi l’acqua di tanto in tanto. Inumidisci le corde vocali se vuoi durare», gli suggerisce il volto. La sollecitazione sulle corde vocali intanto continua. «Il miele. Ciuccia un po’ di miele. Fa bene. Fa bene». Seguendo il consiglio, lecca un po’ di miele dal coperchio di un barattolo che ha appena aperto. I due riti si ripetono una seconda volta. Intanto il volto lo guarda, ci guarda, si perde. Gyula si infila due dita in gola al fine di vomitare. Non ci riesce.
Sconfitto, ascolta l’altro sé che lo invita a "bruciare i grassi". Lui saltella e canta un rap che recita così: «Brucia i grassi! Brucia i grassi!». Ed è qui che prosegue il suo personale delirio: aggira la tribuna del pubblico, salta e prende a spallate i muri della sala e l’impalcatura della tribuna, si butta a terra contorcendosi. Infine, lancia il barattolo del miele contro la proiezione del suo volto. Che svanisce. Fine della prima parte.
Gyula intraprende ora un monologo sui grandi temi della vita e della morte: «Dentro siamo puzzolenti. Pieni di succhi. Questi mi ispirano la decomposizione futura». Successivamente si dirige verso una telecamera digitale e si mette a osservare il pubblico, che si vede proiettato nel riquadro sul muro che prima era stato occupato dal volto. «La pelle mi piace. La mia, la vostra. Soprattutto la vostra. Ma non posso averla». Scorre quindi i vari volti dei presenti. Ne sceglie uno, di uomo, e ne accarezza i tratti. Ne sceglie un secondo, di ragazza. Mentre simula una fellatio compie il gesto di inserirsi un dito nell’ano. Si sofferma sull’ultimo, maschile, e lo irride strofinandogli contro il sedere. Pubblico impassibile. Il performer decide di non continuare e invita tutti a dirigersi nella stanza a fianco, dove viene proiettata una sua opera video, ultima parte della performance.
Fundamentals, unico piano sequenza della durata di quarantacinque minuti, propone primi piani di piedi callosi, caviglie, talloni secchi, polpacci e un pene maltrattato. Rigorosamente di Gyula.

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